“Riscoprire la centralità della Parola di Dio” nella vita personale e della Chiesa e “l’urgenza e la bellezza” di annunciarla per la salvezza dell’umanità come “testimoni convinti e credibili del Risorto”: è questo, in sintesi, il messaggio di Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini”, che raccoglie le riflessioni e le proposte emerse dal Sinodo dei Vescovi svoltosi in Vaticano nell’ottobre 2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
Il documento, lungo quasi 200 pagine, è un appassionato appello rivolto dal Papa ai pastori, ai membri della vita consacrata e ai laici a “diventare sempre più familiari con le sacre Scritture”, non dimenticando mai “che a fondamento di ogni autentica e viva spiritualità cristiana sta la Parola di Dio annunciata, accolta, celebrata e meditata nella Chiesa” (121).
Testo completo dell’Esortazione apostolica Verbum Domini (1.1Mb pdf)
Di seguito la sintesi dell’Esortazione pubblicata dalla Sala stampa della Santa Sede:
Dio comunica se stesso …
Benedetto XVI sviluppa la sua riflessione a partire dal Prologo del Vangelo di Giovanni che ci pone di fronte “al mistero di Dio che comunica se stesso mediante il dono della sua Parola … il suo Verbo si fece carne (Gv 1,14). Questa è la buona notizia” (1). “In un mondo che spesso sente Dio come superfluo o estraneo,” – afferma – “non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza” (2).
Dio non è estraneo all’uomo.
Il Papa sottolinea con forza che “Dio parla e interviene nella storia a favore dell’uomo”, il quale, solo aprendosi al dialogo col suo Creatore, può comprendere se stesso e soddisfare le sue più profonde aspirazioni. “La Parola di Dio, infatti – si legge nel documento – non si contrappone all’uomo, non mortifica i suoi desideri autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento … Nella nostra epoca purtroppo – scrive Benedetto XVI – si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia”. In realtà, “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!”. Per il Papa “è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana … La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il bisogno dell’uomo ed il suo grido” per offrirgli “la pienezza della felicità eterna” (22-23). In questo senso è importante educare i fedeli a riconoscere “la radice del peccato nel non ascolto della Parola del Signore e ad accogliere in Gesù, Verbo di Dio, il perdono che ci apre alla salvezza” (26).
Il Cristianesimo, “religione della Parola di Dio”.
Ricordando “il grande impulso” dato dal Concilio Vaticano II per la riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa (3), nel documento si ribadisce la grande venerazione per le sacre Scritture, “pur non essendo la fede cristiana una ‘religione del Libro’: il cristianesimo è la ‘religione della Parola di Dio’, non di ‘una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente’” (7) alla cui luce “si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana” (6). Infatti, Gesù Cristo è la “Parola definitiva di Dio”: per questo “non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore”. In questo contesto occorre “aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di Dio dalle rivelazioni private”, il cui ruolo “non è quello… di ‘completare’ la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica”. La rivelazione privata è “un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso” (14).
La Parola di Dio senza l’aiuto dello Spirito Santo ….
Riferendosi alla retta interpretazione della Parola, il Papa sottolinea che “non v’è alcuna comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito” (15) come dice san Girolamo: “non possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza l’aiuto dello Spirito Santo che l’ha ispirata” (16): è una comprensione che cresce nel tempo, con l’assistenza dello Spirito Santo, grazie alla Tradizione viva della Chiesa e al Magistero, al quale spetta “d’interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa” (33). “Il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa”, in quanto “nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione” (29); del resto, sempre san Girolamo ricorda che “non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore” (30).
L’unità dei due livelli interpretativi della Parola di Dio.
Il Papa analizza lo stato attuale degli studi biblici, rilevando che “dal fecondo rapporto tra esegesi e teologia dipende gran parte dell’efficacia pastorale dell’azione della Chiesa e della vita spirituale dei fedeli” (31). Riconosce l’importante apporto dato “dall’esegesi storico critica” e da altri metodi (32) ma segnala il grave rischio, oggi, di “un dualismo” tra esegesi e teologia: da una parte, una esegesi che si limita al metodo storico-critico, diventando “un’ermeneutica secolarizzata”, dove tutto è ridotto “all’elemento umano”, fino a negare “la storicità degli elementi divini”; dall’altra, una teologia “che si apre alla deriva di una spiritualizzazione del senso delle Scritture che non rispetta il carattere storico della rivelazione”. Il Papa auspica “l’unità dei due livelli” interpretativi, che in definitiva presuppone “una armonia tra la fede e la ragione”, in modo che la fede “non degeneri mai in fideismo”, con la conseguenza di una lettura fondamentalista della Bibbia, e una ragione che “si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria misura” (33-36). Benedetto XVI esprime, quindi, l’auspicio che nell’ambito dell’interpretazione dei testi sacri “la ricerca … possa progredire”, portando “frutto per la scienza biblica e per la vita spirituale dei fedeli” (19), e nello stesso tempo che si possa ampliare il dialogo tra pastori, esegeti e teologi (45) nella consapevolezza che, in questo campo, “la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre” (47).
Parola di Dio e vita.
Si sottolinea inoltre che “si può comprendere la Scrittura solo se la si vive” (47): infatti “l’interpretazione più profonda della Scrittura … viene proprio da coloro che si sono lasciati plasmare dalla Parola di Dio”, i santi. “Mettersi alla loro scuola costituisce una via sicura per intraprendere un’ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio” (48-49). E riferendosi a Maria, “figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne”, il Papa esorta “gli studiosi ad approfondire maggiormente il rapporto tra mariologia e teologia della Parola” (27).
Parola di Dio, ecumenismo e dialogo interreligioso.
Il documento sottolinea anche “la centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico”, apprezzando la promozione di “celebrazioni ecumeniche dell’ascolto della Parola di Dio”, perché “l’ascolto comune delle Scritture spinge … al dialogo della carità e fa crescere quello della verità” (46). Il Papa, ribadendo che “la rivelazione dell’Antico Testamento continua a valere per noi cristiani” in quanto Parola di Dio, afferma che “la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice” (40). Di qui deriva un “legame peculiare … tra cristiani ed ebrei, un legame che non dovrebbe mai essere dimenticato” e che deve portare i cristiani ad “un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo ebraico”. “Desidero riaffermare ancora una volta – scrive Benedetto XVI – quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei” (43). D’altra parte, “la Chiesa riconosce come parte essenziale dell’annuncio della Parola l’incontro, il dialogo e la collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, in particolare con le persone appartenenti alle diverse tradizioni religiose dell’umanità, evitando forme di sincretismo e di relativismo” (117). Ribadendo che la Chiesa vede “con stima i musulmani i quali riconoscono l’esistenza di un Dio unico”, il Sinodo auspica lo sviluppo del dialogo basato su una reciproca fiducia, nell’approfondimento di valori come “il rispetto della vita”, “i diritti inalienabili dell’uomo e della donna e la loro pari dignità”, nonché l’apporto delle religioni al bene comune, tenendo conto “della distinzione tra l’ordine socio-politico e l’ordine religioso” (118). Il Papa esprime quindi “il rispetto della Chiesa per le antiche religioni e tradizioni spirituali dei vari continenti”, che “racchiudono valori che possono favorire grandemente la comprensione tra le persone e i popoli” (119). Tuttavia – si sottolinea – “il dialogo non sarebbe fecondo se questo non includesse … la libertà di professare la propria religione in privato e in pubblico, nonché la libertà di coscienza” (120).
Parola di Dio e Liturgia.
Il documento affronta poi il rapporto tra Parola di Dio e liturgia: “è questo l’ambito privilegiato – si afferma – in cui Dio … parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde”; “quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura” è Cristo stesso “che parla” (52). Occorre tuttavia educare i fedeli a comprendere l’unità tra Parola e Sacramento nel ministero della Chiesa. Infatti, “nella relazione tra Parola e gesto sacramentale si mostra in forma liturgica l’agire proprio di Dio nella storia mediante il carattere performativo della Parola stessa. Nella storia della salvezza infatti non c’è separazione tra ciò che Dio dice e opera … Al medesimo modo, nell’azione liturgica siamo posti di fronte alla sua Parola che realizza ciò che dice” (53). Il Papa torna a formulare la richiesta di “una maggior cura della proclamazione della Parola di Dio”: i lettori “siano veramente idonei e preparati con impegno. Tale preparazione deve essere sia biblica e liturgica, che tecnica” (58). C’è poi un nuovo richiamo a “migliorare la qualità” delle omelie: “si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia” (59). Il Papa ribadisce quindi l’opportunità di un Direttorio omiletico “per aiutare i ministri a svolgere nel modo migliore il loro compito” (60). Nel documento si esprime inoltre il desiderio che la Liturgia delle Ore “si diffonda maggiormente nel Popolo di Dio … specialmente la recita delle Lodi e dei Vespri. Tale incremento non potrà che aumentare tra i fedeli la familiarità con la Parola di Dio” (62).
La Parola di Dio e il silenzio.
Riprendendo “non pochi interventi dei Padri sinodali”, il Papa ha sottolineato il valore del silenzio nelle celebrazioni: infatti, “la parola può essere pronunciata e udita solamente nel silenzio, esteriore ed interiore. Il nostro tempo non favorisce il raccoglimento e a volte si ha l’impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa. Per questo è necessario oggi educare il Popolo di Dio al valore del silenzio” (66). Ci sono poi alcune esortazioni: “non si trascuri mai l’acustica, nel rispetto delle norme liturgiche e architettoniche” per “aiutare i fedeli ad una maggiore attenzione” (68); “le letture tratte dalla sacra Scrittura non siano mai sostituite con altri testi, per quanto significativi dal punto di vista pastorale o spirituale” (69); siano favoriti i canti “di chiara ispirazione biblica” che sappiano esprimere, “mediante l’accordo armonico delle parole e della musica, la bellezza della Parola divina”. Viene ricordata a questo proposito l’importanza del canto gregoriano (70); infine, si raccomanda “un’attenzione particolare” nei confronti di non vedenti e non udenti (71).
La Parola di Dio e le Sacre Scritture.
Il Papa, insieme con i Padri Sinodali, esprime il vivo desiderio affinché fiorisca “una nuova stagione di più grande amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i membri del Popolo di Dio, cosicché dalla loro lettura orante e fedele nel tempo si approfondisca il rapporto con la persona stessa di Gesù” (72). Chiede di incrementare la “pastorale biblica”, che varrà anche a rispondere al fenomeno della “proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura”, e di favorire “la diffusione di piccole comunità … in cui promuovere la formazione, la preghiera e la conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa” (73). E’ necessaria “un’adeguata formazione dei cristiani e, in particolare, dei catechisti”, riservando attenzione “all’apostolato biblico” (75). Tutto il Popolo di Dio, a cominciare dai vescovi, deve ripartire dall’ascolto della Parola di Dio. Il Papa esprime particolare gratitudine “ai monaci e alle monache di clausura” che “con la loro vita di preghiera, di ascolto e di meditazione della Parola di Dio, ci ricordano che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
La Bibbia in ogni casa.
Poi, per quanto riguarda le famiglie “il Sinodo auspica che ogni casa abbia la sua Bibbia e la custodisca in modo dignitoso, così da poterla leggere e utilizzare per la preghiera”. Viene quindi evidenziato il contributo del “genio femminile” negli studi biblici, nonché il “ruolo indispensabile delle donne nella famiglia, nell’educazione, nella catechesi e nella trasmissione dei valori”. Il documento invita alla pratica della lectio divina e a promuovere le preghiere mariane come il Rosario e l’Angelus “quale aiuto a meditare i santi misteri narrati dalla Scrittura”. Vengono anche citate “alcune antiche preghiere dell’Oriente cristiano” come gli inni mariani dell’Akathistos e della Paraklesis” (78-88).
La Parola di Dio e la missionarietà
Il Papa sottolinea quindi con forza l’appello del Sinodo a “rinvigorire nella Chiesa la coscienza missionaria”, nella consapevolezza “che quanto è rivelato in Cristo è realmente la salvezza di tutte le genti”: “l’uomo ha bisogno della ‘grande Speranza’ per poter vivere il proprio presente, la grande speranza che è ‘quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine’ (Gv 13,1). Per questo la Chiesa è missionaria nella sua essenza. Non possiamo tenere per noi le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù Cristo: esse sono per tutti, per ogni uomo. Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio … A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto” (91-92). “Pertanto, la missione della Chiesa non può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale … Non si tratta di annunciare una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione, che rende accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale fiorisce un’umanità nuova” (93). Viene ribadito che la missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i battezzati. “Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità”. “Questa consapevolezza deve essere ridestata in ogni famiglia, parrocchia, comunità, associazione e movimento ecclesiale”. In particolare, il Sinodo riconosce “con gratitudine che i movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono, nella Chiesa, una grande forza per l’evangelizzazione in questo tempo, spingendo a sviluppare nuove forme d’annuncio del Vangelo” (94). “In nessun modo – si legge nel documento – la Chiesa può limitarsi ad una pastorale di ‘mantenimento’, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale”. E’ necessario un “annuncio esplicito”: “la Chiesa deve andare verso tutti con la forza dello Spirito (cfr 1Cor 2,5) e continuare profeticamente a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a rischio della persecuzione. A tutti la Chiesa si sente debitrice di annunciare la Parola che salva”: ai tanti popoli che ancora oggi non la conoscono e a quanti “hanno bisogno che sia loro riannunciata in modo persuasivo” da “testimoni credibili del Vangelo”. Il Papa rivolge con commozione il suo pensiero a tutti i perseguitati a causa di Cristo, ai “tanti fratelli e sorelle che anche in questo nostro tempo hanno dato la vita per comunicare la verità dell’amore di Dio rivelatoci in Cristo crocifisso e risorto”. In particolare – scrive Benedetto XVI – “ci stringiamo con profondo e solidale affetto ai fedeli di tutte quelle comunità cristiane, in Asia e in Africa … che in questo tempo rischiano la vita o l’emarginazione sociale a causa della fede … Nel contempo non cessiamo di alzare la nostra voce perché i governi delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di coscienza e di religione, anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente” (95-98).
La Parola di Dio e il mondo d’oggi.
Benedetto XVI ricorda inoltre come l’ascolto della Parola non conduca ad una fuga dal mondo ma ad un impegno ancora maggiore “per rendere il mondo più giusto e più abitabile. È la stessa Parola di Dio a denunciare senza ambiguità le ingiustizie e promuovere la solidarietà e l’uguaglianza”. “L’impegno per la giustizia e la trasformazione del mondo è costitutivo dell’evangelizzazione”. “Certo – si ribadisce – non è compito diretto della Chiesa creare una società più giusta, anche se a lei spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli. È soprattutto compito dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo, intervenire direttamente nell’azione sociale e politica” promuovendo “i diritti umani di ogni persona, basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo, e che come tali sono ‘universali, inviolabili, inalienabili’”. La Parola di Dio è anche “fonte di riconciliazione e di pace”. “Ancora una volta – afferma il Papa – desidero ribadire che la religione non può mai giustificare intolleranza o guerre. Non si può usare la violenza in nome di Dio!” (99-103).
Il documento affronta poi la questione dell’annuncio ai giovani, ai migranti, ai sofferenti e ai poveri. L’attenzione al mondo giovanile “implica il coraggio di un annuncio chiaro … essi hanno bisogno di testimoni e di maestri, che camminino con loro e li guidino ad amare e a comunicare a loro volta il Vangelo soprattutto ai loro coetanei, diventando essi stessi autentici e credibili annunciatori”.
I movimenti migratori “offrono rinnovate possibilità per la diffusione della Parola di Dio. A tale proposito i Padri sinodali hanno affermato che i migranti hanno il diritto di ascoltare il kerygma, che viene loro proposto, non imposto. Se sono cristiani, necessitano di assistenza pastorale adeguata per rafforzare la fede”. Si esorta poi alla vicinanza ai sofferenti: “la Parola di Dio ci svela che anche queste circostanze sono misteriosamente ‘abbracciate’ dalla tenerezza di Dio. La fede che nasce dall’incontro con la divina Parola ci aiuta a ritenere la vita umana degna di essere vissuta in pienezza anche quando è fiaccata dal male”. Infine, i poveri: “la diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei santi misteri. La Chiesa non può deludere i poveri: ‘I pastori sono chiamati ad ascoltarli, ad imparare da essi, a guidarli nella loro fede e a motivarli ad essere artefici della propria storia’”. Viene quindi espresso anche il legame tra ascolto della Parola e salvaguardia del Creato (104-108).
La Parola di Dio e l’evangelizzazione delle culture.
Il documento lancia un appello a un “rinnovato incontro tra Bibbia e culture”: “vorrei ribadire a tutti gli operatori culturali – scrive il Papa – che non hanno nulla da temere dall’aprirsi alla Parola di Dio; essa non distrugge mai la vera cultura, ma costituisce un costante stimolo per la ricerca di espressioni umane sempre più appropriate e significative”. Inoltre, “va pienamente ricuperato il senso della Bibbia come grande codice per le culture”. Si auspica anche la promozione della conoscenza della Bibbia nelle scuole e università, “vincendo antichi e nuovi pregiudizi”. Si esprime apprezzamento, stima e ammirazione di tutta la Chiesa per gli artisti “innamorati della bellezza”, che si sono lasciati ispirare dai testi sacri, aiutando “a rendere in qualche modo percepibile nel tempo e nello spazio le realtà invisibili ed eterne”. Si sollecita “un impegno ancora più ampio e qualificato” nel mondo dei media perché possa “emergere il volto di Cristo e udirsi la Sua voce”. In particolare, si sottolinea il ruolo crescente di internet, “che costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo reale” (109-113).
Parlando di evangelizzazione delle culture, il Papa osserva che la Parola di Dio manifesta “un carattere profondamente interculturale, capace di incontrare e di far incontrare culture diverse”; “l’inculturazione – tuttavia – non va scambiata con processi di adattamento superficiale e nemmeno con la confusione sincretista che diluisce l’originalità del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile”.
La Parola di Dio e la Nuova evangelizzazione,
“La Parola divina … trasfigura i limiti delle singole culture creando comunione tra popoli diversi” invitando “ad andare verso una comunione più vasta … veramente universale” che “collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli”. (114-116)
La nostra epoca – conclude il Papa – “dev’essere sempre più il tempo di un nuovo ascolto della Parola di Dio e di una nuova evangelizzazione”, perché “ancora oggi Gesù risorto ci dice ‘Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura’ (Mc 16,15)”. “Annunciando la Parola di Dio nella forza dello Spirito Santo, desideriamo comunicare anche la fonte della vera gioia, non di una gioia superficiale ed effimera, ma di quella che scaturisce dalla consapevolezza che solo il Signore Gesù ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68)” (121-124).