45 A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. 46 Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47 Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». 48 E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. 49 Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!».
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Il nostro brano – e il suo parallelo di Marco 15,33-39 – regalano a tutte le generazioni cristiane quello che va considerato il tesoro supremo della fede cristiana anche per le sue straordinarie conseguenze sul piano del pensiero e della storia. E’ l’ultimo supremo passo dell’obbedienza del Figlio al Padre. E’ l’affermazione della totale consegna che Dio fa di se stesso all’umanità.
Il primo elemento è, al ver.45 quello delle tenebre. La promessa è quella della presenza del Signore anche nelle tenebre più profonde. E’ dunque straordinaria questa non coincidenza tra Dio e la luce. Egli è certamente la luce, ma non ci sono condizioni di tenebre nelle quali la luce divina non possa manifestarsi. Talvolta proprio nelle tenebre più profonde dello spirito e della storia, la Luce meravigliosamente si manifesta.
Ed ecco ora, al ver.46, la citazione del Salmo 21(22)! Gesù fa suo il grande grido dell’abbandono divino! Stiamo attenti però a non fraintendere! Provo a dirvi qualcosa su quello che queste parole hanno depositato in me fino ad oggi. Povere cose sulle quali in questi ultimi mesi sono molto ritornato. Mi sento solo al principio di una strada troppo grande per me. Sono debitore per più motivi a come ha dato posto nella sua vita a questo testo un grande testimone cristiano come Bonhoeffer. E da alcuni mesi traggo grande bene anche dal dialogo con un caro amico, Massimo Cacciari. Cito le persone solo per dire del bene che mi hanno fatto e non certo per appoggiare alla loro autorità i miei piccoli pensieri.
La presenza di queste parole tra le ultime di Gesù mi fa pensare alla pienezza della fede e del rapporto tra Dio e l’uomo. Questo Dio abbandonato da Dio è ormai totalmente privo di elezioni, di privilegi e di protezioni. Anzi, l’elezione stessa indica una condizione assolutamente imprevista: l’abbandono, appunto! La scommessa è che Dio si sia talmente consegnato all’umano, da consentire che l’umano possa trovare nella sua stessa mortale povertà il segreto, il mistero e la realtà profonda di Dio. Sulla Croce di Gesù non possono non cadere tutti i sospetti di una condizione “speciale”. Al contrario, Dio sembra in grado di sfidare tutto quello che lo nega, e quindi la morte stessa, per generare da Sè quel Dio che tale è nel mistero della sua divinità negata.
Mi fermo perchè il discorso è tutto astruso, nella speranza che qualche pazzoide abbia voglia di continuare a riflettere insieme. Intanto non ritengo secondario il fatto che ci troviamo alla fine dell’Anno Liturgico e in questa ultima domenica l’Evangelista Luca chiuda la partita con l’assunzione divina dei due malfattori (perchè la cosa funzioni è necessario che vediate in paradiso anche il ladrone ribelle).
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“…Si fece buio su tutta la terra”: mi piace il suggerimento di alcuni commentatori, che vedono in questo buio non tanto un segno della tragedia che si sta consumendo, quanto un richiamo al libro dell’Esodo: le tenebre sulla terra d’Egitto annunciavano la liberazione imminente. E’ ora, sulla croce, che si compie la liberazione per “tutta la terra”. – Quanto all’aceto, ho sentito dire che si credeva che esso accelerasse la fine del condannato. Sarebbe quindi non un gesto di ulteriore crudeltà verso il Signore morente, ma un atto vicino alla pietà e alla compassione.
Le parole di Gesù, il suo grido del v. 46: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, sono parole del salmo 22. La profezia di queste parole si compie. Ma questo grido è anche segno che davvero Gesù ha voluto essere come tutti gli uomini, e perciò usa parole che per secoli gli israeliti hanno usato per gridare a Dio. Gesù vuole essere come gli altri, un uomo fino alla fine.
Questo grido esprime una grande intensità di dolore, come quando Dio all’inizio cerca l’uomo: “Adamo dove sei?”. È questo il momento più forte in cui il Signore prende su di se il peccato che non ha fatto, il grande dramma della umanità lontana da dio, che qui viene pienamente assunto. Un bel commento di Ambrogio sottolinea come in questo momento la divinità di Gesù si sia “ritirata, allontanata” da Lui, e l’uomo Gesù abbia accettato di morire per gli uomini: è la separazione da dio. La morte non avrebbe potuto avvenire se la vita, che è Dio, non si allontanasse da Lui.
Tutti gli uomini che sono lì sotto la croce non capiscono il motivo di queste tenebre. Solo da Gesù sono colte nella loro drammatica pesantezza. Il suo lamento corrisponde a quelle tenebre. Sono le tenebre della assenza di Dio, o perlomeno della sua non visibilità.
Il suo grido ci riporta alla memoria le parole di Sir 35:17-18 “La preghiera dell’ umile penetra le nubi, finché non sia arrivata, non si contenta; non desiste finché l’ Altissimo non sia intervenuto”: oggi questo grido di Gesù penetra nei cieli. Gesù ha preso su di sé la condizione di perdizione dell’uomo: Gesù è qui un uomo perduto e abbandonato. Però in questo c’è una cosa importante. Se da un lato si dovrebbe pensare che questo è proprio il segno e la conseguenza del nostro avere abbandonato Dio (perché non è Lui che ci ha lasciato, ma noi che abbiamo abbandonato Lui), d’altra parte noi non potremmo ritornare a Lui se Lui – rispondendo a questo nostro grido – non accettasse di ritornare a noi. Perciò per queste parole di Gesù, che solo Lui può dire con verità, viene aperta per noi una strada per ritornare a Dio.
Queste parole che Gesù grida sulla croce possono essere per qualcuno scandalo. Come mai Gesù, che è Dio, dice così? Poteva morire senza dire niente. Ma vuole mostrare che l’uomo nella sua debolezza si trova davanti alla morte abbandonato da Dio. Anche noi tutti, davanti alle tribolazioni, fatiche e sofferenze, pensiamo e sentiamo che Dio non c’è.
Il grido di Gesù sulla croce raccoglie perciò il grido di ogni sofferenza. Gridando a Dio la sua solitudine e il suo bisogno di Lui, Gesù ci mostra come dobbiamo anche noi vivere la sofferenza e la morte. Nello stesso tempo, Gesù reagisce come gli israeliti nel momento della loro oppressione e schiavitù in Egitto (Es 2:23), e come nella drammatica situazione dell’esodo, stretti tra il mare e l’esercito nemico (Es 14:10). E Dio ascolta il grido del suo eletto, e lo salva.
Questo grido a Dio, dell’uomo schiacciato dalla colpa e dal dolore, si oppone e riscatta la paura e il silenzio di Adamo, che cercò di nascondersi da Dio dopo il peccato.