22 Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. 23 Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. 24 Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25 Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». 26 Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
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Stiamo entrando nel grande discorso sul Pane della Vita che il Signore espone nella sinagoga di Cafarnao. Qui si pone un interrogativo, o addirittura un’alternativa radicale sul senso e sulla realtà profonda di questo pane.
E’ allora forse importante farsi prendere per mano dall’obiezione che Gesù solleva nei confronti della folla che lo sta cercando: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (ver.26). Mi sembra si possa pensare ad una ricerca che pretende di poter trovare ciò che cerca, e che lo cerca per nutrirsene fino a sazietà, come è avvenuto nell’evento del miracolo narrato nei primi versetti di questo capitolo.
In realtà la folla dovrà entrare nel pensiero che questo “Pane” è puro dono divino, inconfrontabile con ogni pane terreno, cibo per la vita eterna. E’ quello che ascoltiamo al ver.27: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”.
Qui è molto delicato il significato del verbo reso in italiano con “datevi da fare”. Espresso così sembra essere genericamente un invito ad agire. Forse invece Gesù vuole dirci che ci sono due ambiti, due orizzonti dell’agire, dell’operare. Uno, quello che ci appartiene e ci caratterizza è il nostro “fare”, che parte da noi ed è veramente nostro.
E’ ogni nostro “fare” “per il cibo che non dura”. Non bisogna qui pensare solo ad un valore scarso di questo cibo, ma a tutto quello che può essere pensato, fatto, usato … da noi.
Il “cibo che rimane per la vita eterna” non può che essere ricevuto! E’ il pane “che il Figlio dell’uomo voi darà”!
Perché è su questo “Figlio dell’uomo” su questo uomo assolutamente nuovo che “il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. Questo “Pane” è questa “nuova umanità” dei figli di Dio.
Il Figlio di Dio, che si è fatto uomo, “il Figlio dell’uomo”, è venuto a donarlo all’umanità. Ancora la Prima Alleanza, caratterizzata dal dono della Legge, era già profezia di tutto questo. Ora la profezia si compie, come vedremo nel seguito, se Dio vorrà.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mi ha colpito al versetto 22 come sia sempre in agguato per i discepoli del Signore, quindi anche per me che oggi ricevo questa Parola, il rischio di voler andare da solo, di fare da solo, senza di Lui. È una scelta che come minimo espone all’insignificanza, quando non peggio.
C’è poi, al vers. 27, questo bell’atteggiamento che ci è oggi richiesto dal Signore: questo “darsi da fare” per accogliere il dono che Lui vuole farci, questa operosità con la quale ci è chiesto di riempire l’attesa consapevole che “il cibo che rimane per la vita eterna” è Suo esclusivo dono. Un “darsi da fare” contemporaneamente con Lui e in attesa di Lui.