22 Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». 23 Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
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COMMENTO
La domanda di Giuda, non l’Iscariota, del v 22, fa seguito a quanto Gesù ha appena detto, prospettando il suo legame stabile coi discepoli, mentre al mondo è sostanzialmente preclusa questa esperienza di conoscenza intima (vv 16-17). Non è del tutto chiara l’intenzione di Giuda nel porre questa domanda, tuttavia complessivamente sembra di cogliere in lui, ma forse anche in tutto il gruppo dei discepoli, una certa delusione e disillusione circa la speranza di una affermazione ecclatante e potente di Gesù e del suo regno a Israele e probabilmente anche al contesto della occupazione romana. La risposta di Gesù prosegue il discorso da lui già avviato riproponendo il suo rapporto forte con gli uomini sulla base dell’ascolto amoroso della sua parola. In certo senso Egli riconferma così l’antico “Shemà Israel” (Ascolta Israele) di Deuteronomio 6,4, da Gesù stesso riaffermato come il cuore dei comandamenti della prima alleanza (Mc 12,29). Ma qui Egli rivela ben di più! Rivela cioè che l’ascolto amoroso della sua parola non costituisce una semplice osservanza, ma realizza la vertiginosa inabitazione reciproca tra noi e Dio: Dio cioè prende dimora in noi. Il Padre e il Figlio, nello Spirito Santo fissano la tenda della gloria di Dio nel nostro cuore (v 23).