22 Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23 Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24 Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25 Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26 Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola».
Giovanni 10, 22-30

Penso si possa e forse si debba attribuire importanza alla precisazione “geografica” che vede Gesù che cammina nel tempio, nel portico di Salomone, nei giorni in cui si festeggia la dedicazione del tempio. E’ Lui il nuovo tempio secondo quello che abbiamo ascoltato nel dialogo con la Samaritana in Gv.4,19-26, che oggi è interessante riascoltare.
La richiesta da parte dei giudei al ver.24 suona assurda! Fin da Cana, e sempre in ogni passaggio del Quarto Vangelo, Gesù ha annunciato, e ha confermato con tutti i “segni” che hanno accompagnato le sue parole, la sua comunione piena con il Padre, e quindi il suo essere “il Cristo”: “Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio – ecco i “segni”! – nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me”(ver.25). L’espressione “nel nome del Padre” dobbiamo intenderla in modo forte e pieno: la parola e l’opera di Gesù sono parola e opera di Dio Padre.
Ma non può essere la fede un evento misurabile intellettualmente o verificabile con la competenza nelle Scritture. Queste cose ci sono, ma sono interne al mistero del dono di Dio e al dono della nostra possibilità di accogliere tale dono. Dono e non possesso. Dono che continua ad essere tale, e che diventa sempre più dono anche in chi si ritiene credente. Il “credente” non è in realtà lontano dal non credente, perché anche lui, in ogni istante, “risorge” dalla sua incredulità. Questo sarà confermato in questo Vangelo sino alla fine. La questione non è quindi che qualcuno il dono lo riceve e qualcuno non lo riceve. E’ importante tener fermo che , in ogni modo, chiunque può dire “credo”, lo può fare se e perché il dono di Dio lo ha raggiunto e salvato. Così va intesa l’espressione “far parte delle pecore” di Gesù.
Molte volte osservo con grande e commosso stupore come molti miei amici che si pensano e si dicono non credenti, anche di loro Gesù dica: “ascoltano la mia voce” e di fatto quindi, dice Gesù, “Io le conosco ed esse mi seguono”(ver.27). Quindi: nessuno può essere “sicuro” di far parte o “sicuro” di essere escluso da quelli che, dice sempre Gesù, “ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Non possiamo dimenticare che lo stesso Gesù, per primo viene giudicato dai giudei come bestemmiatore e indemoniato.
Certamente non possiamo che desiderare con tutto il cuore che tutti possano essere raggiunti dalla buona notizia che oggi Gesù rinnova in noi ribadendo la sua piena comunione con il Padre, soprattutto con l’ultima frase così incisiva da sembrare persino un po’ “selvaggia”: “Io e il Padre siamo una cosa sola”(ver.30). Questo Gesù lo dice oggi a tutti noi e chi di noi ha il dono di accoglierlo non può che desiderare che alla pienezza del dono giungano tanti altri che ci sono cari e che pensiamo siano cari al Signore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.