14 A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano 16 e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? 17 Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. 18 Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». 19 Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! 20 Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore? 21 Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le sue opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? 22 Vedi: la fede agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta. 23 E si compì la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio. 24 Vedete: l’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede. 25 Così anche Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada? 26 Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
Giacomo 2,14-26

Personalmente non sento difficoltà nella posizione di Giacomo rispetto a Paolo: molte volte sono le diverse circostanze storiche ad esigere e a introdurre precisazioni e sottolineature opportune.
Per me è via semplice di comprensione sottolineare che le opere di cui ci parla Giacomo sono “opere della fede”, esse stesse puro dono di Dio! E quindi, dono necessario!
Per questo, è opportuno sottolineare, al ver.14, il contrasto tra le due proposizioni: uno “dice” di avere la fede ma “non ha” le opere. Dunque, semplicemente, non è vero quello che egli dice! Egli in realtà non ha la fede che dice di avere.
I vers.15-16 con il triste episodio da essi citato, sono dimostrazione semplice e diretta della mancanza della fede in chi si esprime così! E’ impossibile che si possa liquidare in tal modo una persona, e insieme affermare di avere il dono della fede!
Il ver.17 dice che la fede, in quel caso, è “in se stessa morta”. Non c’è! Non è!
E dunque è del tutto plausibile il dato di una “fede silenziosa” che si esprime e si rivela agendo! Così il ver.18.
Contro-prova di questo, al ver.19, è che la stessa verità viene vissuta in modi opposti nelle due condizioni opposte del credente e dei demòni: a differenza del primo, questi ”tremano”!
Ci possiamo domandare come Giacomo intenda l’affermazione del ver.20 che può sembrare una generalizzazione eccessiva, ma possiamo dire che il tremore dei diavoli contrasta la non citata, e gioiosa (!), operatività del credente!
Ai vers.21-23 la vicenda di Abramo e di Isacco, narrata in Genesi 22, e così importante per Paolo in Romani 4, viene mirabilmente descritta come “la fede che agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta”. Alla lettera, “giunse a perfezione.
Penso che Paolo sia d’accordo con questa affermazione, e che Giacomo non pensi che queste “opere” di Abramo non fossero anch’esse dono di Dio!
Il ver.23 è conferma forte di questo! Anche la prostituta Raab è figlia che Dio ama e riempie di Sé!
Con buona pace accogliamo volentieri anche il ver.26.
Di questo mi sento confermato anche per il fatto che oggi è il 6 dicembre, memoria festosa di S. Nicola. Il 6 dicembre 1962 i lavori del Concilio Vaticano Secondo, appena iniziato e messo felicemente in crisi dall’omelia di papa Giovanni l’11 ottobre nella Messa di inizio del Concilio stesso, l’Arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro portava all’Assemblea conciliare il tema della Chiesa povera e dei poveri con un testo preparatogli da Giuseppe Dossetti.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il tema di oggi è impegnativo e anch’io mi affido al commento di Giovanni. Aggiungo solo un’affermazione della TOB che dice: le opere di cui parla Giacomo sono il frutto che la fede deve produrre. – Colpisce la libertà, l’apertura di spirito dell’autore che accosta l’esempio di Abramo a quello della prostituta Rahab. Su Abramo notiamo l’attribuzione di due bei titoli: “nostro padre” (e lo è anche per noi) e “amico di Dio” (considerarci ed essere amici del nostro Dio!). – Mi viene da pensare anche alla “fede” di Gesù: il suo fidarsi totalmente del Padre, il dedicarsi completamente al compimento della sua volontà di salvezza degli uomini. Questa è stata la sua “opera”.