32Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa, 33ora esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo. 34Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e duraturi. 35Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. 36Avete solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso.
37Ancora un poco, infatti, un poco appena,
e colui che deve venire, verrà e non tarderà.
38Il mio giusto per fede vivrà;
ma se cede, non porrò in lui il mio amore.
39Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima.
37Ancora un poco, infatti, un poco appena,
e colui che deve venire, verrà e non tarderà.
38Il mio giusto per fede vivrà;
ma se cede, non porrò in lui il mio amore.
39Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima.
Bisogna ricordare, in mezzo alle prove, i tempi e le vicende che hanno visto i cristiani “sopportare una lotta grande e penosa”(ver.32). La Lettera agli Ebrei introduce in questo testo un termine, sia sostantivo che verbo, di grande rilievo per l’interpretazione della vita di fede. Qui è presente il verbo, tradotto con “sopportare”. Esso indica la volontà e la capacità di portare le prove che sono inevitabilmente connesse al dono della fede. E’ bene pensare a come questa parola sappia mirabilmente esprimere la strada che Gesù per primo ha percorso nella sua esistenza terrena, e principalmente nella sua passione. Non si tratta di una sopportazione passiva e subìta, ma al contrario, di quella forza che consente di rimanere sotto le prove, di portare il peso della prova senza sottrarsi. In questo siamo oggi aiutati da un termine che è il contrario di quello che stiamo considerando, termine che al ver.38 è reso con “cedere” – “..ma se cede..” – e al ver.39 ancora con “…quelli che cedono..”. Dunque è parola di grande importanza per dire la qualità e la forza della fede, e come tale la ritroveremo nel seguito…se Dio vorrà. Tale vicenda di sopportazione nella prova è intimamente connessa al dono battesimale – “dopo aver ricevuto la luce di Cristo” – e per questo esprime bene la condizione e la vicenda del battezzato.
Le prove ricordate ai vers.33-34 sono sia quelle direttamente sopportate, sia quelle delle quali si sono fatti solidali con coloro che erano nelle “sofferenze dei carcerati”, sia quelle che li hanno privati delle loro sostanze. Hanno evidentemente tenuto un atteggiamento di assoluta mitezza, “sapendo di possedere beni migliori e duraturi”.
Si tratta di non abbandonare “la vostra franchezza”(ver.35), e qui ricompare il termine che abbiamo trovato in 10,19 espresso con il termine “libertà”, e che forse sarebbe stato meglio rendere con “fiducia”. Si tratta dunque di quella forza interiore che consente una testimonianza semplice e forte della fede. A tale franchezza “è riservata una grande ricompensa”. Ma proprio per questo i battezzati hanno “bisogno di perseveranza”: qui il termine è ancora quello che abbiamo incontrato come verbo con il significato di “sopportare” e di cui sopra abbiamo cercato di dire qualcosa. Tale è la qualità e la virtù di coloro che non cedono, ma sono “uomini di fede” per la salvezza della loro anima, dice il ver.39, con una traduzione non letterale. Dunque, per custodire la franchezza e la libertà della fede, non bisogna cedere, e bisogna perseverare nella pazienza e nella perseveranza.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.