15 Iesurùn si è ingrassato e ha recalcitrato,
– sì, ti sei ingrassato, impinguato, rimpinzato –
e ha respinto il Dio che lo aveva fatto,
ha disprezzato la Roccia, sua salvezza.
16 Lo hanno fatto ingelosire con dèi stranieri
e provocato all’ira con abomini.
17 Hanno sacrificato a dèmoni che non sono Dio,
a dèi che non conoscevano,
nuovi, venuti da poco,
che i vostri padri non avevano temuto.
18 La Roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato;
hai dimenticato il Dio che ti ha procreato!
19 Ma il Signore ha visto e ha disdegnato
con ira i suoi figli e le sue figlie.
20 Ha detto: “Io nasconderò loro il mio volto;
vedrò quale sarà la loro fine.
Sono una generazione perfida,
sono figli infedeli.
21 Mi resero geloso con ciò che non è Dio,
mi irritarono con i loro idoli vani;
io li renderò gelosi con uno che non è popolo,
li irriterò con una nazione stolta.
22 Un fuoco si è acceso nella mia collera
e brucerà fino alla profondità degl’inferi;
divorerà la terra e il suo prodotto
e incendierà le radici dei monti.
23 Accumulerò sopra di loro i malanni;
le mie frecce esaurirò contro di loro.
24 Saranno estenuati dalla fame,
divorati dalla febbre e da peste dolorosa.
Il dente delle belve manderò contro di loro,
con il veleno dei rettili che strisciano nella polvere.
25 Di fuori la spada li priverà dei figli,
dentro le case li ucciderà lo spavento.
Periranno insieme il giovane e la vergine,
il lattante e l’uomo canuto.

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Qui in profezia è scritto quello che accadrà quando il popolo sarà entrato nella terra della promessa. Nel v. 15 il guaio è detto esplicitamente: per la moltitudine dei doni di Dio, Israele “si impinguerà e si ingrasserà”. Questo vuol dire che Israele sarà forte, ma sarà una forza che pensa di possedere in sè stesso. Una di queste tre parole che indicano l’ “ingrassare” la si ritrova anche in 1Re quando il figlio e successore di Salomone, salendo al trono e consigliato da consiglieri giovani, risponde al popolo – preannunciando la sua politica – che “il suo mignolo è più grosso dei fianchi di suo padre”. Diversamente dal popolo, Dio continuerà ad essere sempre lo stesso, una volta arrivati alla terra della promessa. Un Dio che hanno conosciuto in Egitto e nel deserto, che vuole continuare ad avere una relazione buona con il suo popolo, non autoritario, ma Roccia, salvatore, padre e madre, che genera e nutre. Ma questo “tipo” di Dio non corrisponde alla condizione del popolo, quale sarà una volta entrato nella terra. Viene da mettere tutto questo in parallelo – ma sarà proprio corretto? – con la parabola di Gesù sul ricco che banchetta nell’abbondanza e non si accorge del povero Lazzaro alla sua porta. Il ricco non ha relazione con Lazzaro, nè si accorge di lui: sono troppo diversi. E’ così anche qui: il popolo di Israele entrato nella terra viene presentato come un popolo di “ricchi”, che non si accorge di Dio, se ne dimentica, come quel ricco si dimentica di Lazzaro. Manca nel popolo l’abbandono a Dio e la stabilità in Lui, e ci si rivolge ad altri dei. Questi dei sono “divinità recenti”. C’è forse qui anche la critica all’istinto del cuore di cercare e seguire sempre cose nuove, di essere sedotti dalla curiosità mondana che fa rifuggire da quella che è una tradizione sana e forte. Manca la disposizione alla conversione. E allora Dio, reso geloso perchè il popolo si è inclinato a questi dei nuovi e falsi, per contrappasso e mettendosi un pò sul loro stesso piano, li renderà gelosi rivolgendosi a “un popolo stolto che non è popolo”, parole in cui Paolo scorge la chiamata di tutti i popoli pagani, per “ingelosire” Israele e provocarne la conversione e il ritorno a Dio. E questo popolo “nuovo” celebrerà le lodi di Dio, quando abbandonerà di nuovo ogni sua pretesa di forza e autosufficienza, e si rivolgerà al suo Dio, padre e salvatore misericordioso. Dio, che con parole forti e quasi uniche si presenta nel v. 18 come “padre che ti ha generato e (madre) che ti ha partorito” (intendendo forse ricordare anche in questo modo come il popolo dimenticandolo e trascurandolo perda la benedizione e la promessa legata all’osservanza del precetto di ‘onorare il padre e la madre’) rivela in sintesi il problema del popolo (peraltro ricordandone ancora la loro condizione perenne): “sono figli che non hanno fede”. E’ un problema eterno: “Il Figlio dell’uomo quando verrà troverà ancora la fede sulla terra?”.
In questa grande invettiva divina contro i figli possiamo cogliere elementi di essenziale rilievo per la nostra fede e la nostra vita. A partire dal ver.15 che parla del tipico vizio di Israele, che è quello di trasformare il dono di Dio in una propria condizione di opulenza e di grandezza. E’ facile cioè, proprio per tutto il bene che riceviamo dal Signore, impadronirci di quello che non è nostro ma è sempre dono suo, entrare in una stolta cultura dell’opulenza che ci fa misconoscere il dono e tradire il Donatore. C’è un legame essenziale tra la fede e la povertà. Se perdiamo la povertà, soprattutto la povertà interiore, quella della beatitudine dei “poveri in spirito”, mettiamo in grave pericolo la fede! Nella versione greca questo si mostra ancora più drammatico perchè Israele, qui chiamato con l’appellativo Iesurun, variamente interpretato, viene chiamato esplicitamente “Diletto”, cioè Amato! Il rischio è proprio perdere quella che è la ragione di tutto, e cioè la consapevolezza del mistero dell’elezione divina! E quindi il rischio di trasformare in possesso quello che è sempre e solo segno della sua misericordia e del suo amore per noi! Ecco allora, al ver.17, l’esposizione a idoli che non sono Dio, quel Dio che ci ha creati e ci ha salvati. Demoni che non conoscevamo, demoni spesso legati alla “modernità”, e cioè all’abbaglio di ciò che emerge nella storia dell’umanità, e che di per sè non è un male ma lo può diventare se e quando prende il posto del Signore e diventa oggetto della nostra “adorazione”. Davanti a quello che Lui ha fatto per noi – ci ha generati e ci ha salvati – ecco il nostro male: abbiamo respinto il nostro Dio, lo abbiamo disprezzato, lo abbiamo trascurato e lo abbiamo dimenticato!! Notiamo che il nostro male è sempre e solo nei suoi confronti ed è sempre umiliazione e negazione della nostra comunione con Lui! Abbiamo sacrificato ai demoni (ver.17) e questo ha portato Dio fino ad “ingelosire con dèi stranieri”, e l’abbiamo “provocato all’ira” con i nostri abomini: insomma il nostro peccato è l’aggressione che noi compiamo contro il vincolo d’amore che lui ha stabilito con noi! L’etica cristiana è dunque sostanzialmente un’etica della nuzialità!! Certamente! Perchè quale è il rapporto tra Lui e noi, tale deve essere ogni relazione tra noi: siamo al cuore del duplice comandamento dell’Amore! Il ver.20 ci ricorda la sanzione più dolorosa che Dio riserva al suo popolo: l’abbandono. Abbandonato da noi, ci abbandona. Mi è venuto in mente quello che Balthasar dice dell’inferno, quando lo descrive anch’esso come misericordia di Dio, perchè, afferma, è meglio essere puniti piuttosto che ignorati! Fascino tremendo di questa affermazione!! Dice dunque il ver.20: “Io nasconderò loro il mio volto; vedrò quale sarà la loro fine”. Per fortuna, però passa a punirci direttamente! Oltre a “renderci gelosi di uno che non è popolo”, dove la tradizione vede il sopraggiungere dei pagani nel popolo di Dio (ver.21), i vers.22-25 dicono tutti i castighi che Lui ci manderà. Ma tutto questo è positivamente molto importante perchè in questo modo Egli ci riporta a quella povertà che finalmente ci restituisce alla sete di Lui! Insomma, senza povertà non ce la facciamo a custodire il dono della fede. Se viene in mente che siamo poveretti, ricordiamoci appunto della beatitudine: “Beati i poveri in spirito perchè di essi è il regno dei cieli”. Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Domenica 21 marzo: giornata della poesia! Perché non sottolineare allora la bellezza poetica del cantico che stiamo leggendo in questi giorni?
“Udite, o cieli… Ascolti la terra…!”. La parola del Signore è come pioggia dall’alto o come rugiada del suolo: “come pioggia leggera sul verde, come scroscio sull’erba”(v.2). Ed ecco gli interrogativi forti e appassionati: “Non è lui il padre che ti ha creato,/ che ti ha fatto e ti ha costituito?”(v.6). Immagini delicate, invece, nella descrizione dell’azione di Dio per il suo popolo: il vertice è in quell’aquila che prende i piccoli sulle sue ali e li solleva nel cielo…(v.11). Infine, quanto ardore, quanta passione nella pagina odierna: la sua gelosia, la sua collera lo portano a minacciare tremendi castighi…: ma noi sappiamo che questi si sono esauriti nella morte del Figlio. E per noi restano le parole del vangelo odierno: “Neanch’io ti condanno…”(Gv 8,11).