11 Una vigna aveva Salomone in Baal-Hamòn;
egli affidò la vigna ai custodi;
ciascuno gli doveva portare come suo frutto
mille sicli d’argento.
12 La vigna mia, proprio mia, mi sta davanti:
a te, Salomone, i mille sicli
e duecento per i custodi del suo frutto!
13 Tu che abiti nei giardini
– i compagni stanno in ascolto –
fammi sentire la tua voce.
14 «Fuggi, mio diletto,
simile a gazzella
o ad un cerbiatto,
sopra i monti degli aromi!».

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I vers.11-12 mi fanno pensare alle parabole della vigna narrate dai Vangeli. In questo senso mi sembra di intravedere nel nostro testo la profezia di un adempimento, annunciato attraverso il diverso atteggiamento di Salomone e dell’Amato del Cantico di fronte alla loro vigna. La vigna di Salomone è affidata ai custodi e deve rendere molto denaro; per qualche cenno, sembra forse evocare il grande Harem che il re aveva e che fu causa della sua minore fedeltà verso il Signore e della sua esposizione al culto di divinità straniere. La vigna dell’Amato, al ver.12, pare interamente affidata alle sue cure, senza mediazioni mercenarie: come se si fosse passati da un regime servile ad una realtà nuziale. “La vigna mia, proprio mia, mi sta davanti”: una versione più aderente al testo la rende così:”La mia vigna, che è mia, la guardo da me”. Qui non si vogliono i denari che Salomone pretendeva, perchè tutto il tesoro sta nella relazione d’amore tra l’Amato e la sua vigna.
I vers.13-14 sono l’ultimo breve dialogo che il Cantico ci regala tra l’Amato e l’Amata. Lui, al ver.13, sembra chiederle di poter udire ancora la sua voce, e in segreta intimità, al riparo da altri che “stanno in ascolto”. E lei lo invita a fuggire rapidamente – la Parola di Dio incessantemente fugge, quando si pensa di averla afferrata e di poterla trattenere; ma è sempre al di là di noi! – ma forse lo invita a fuggire verso di lei, verso la sua amata persona, “sui monti degli aromi”, che sono forse il suo corpo.
E siamo alla fine! Deo gratias! Lo siamo con molti “forse”, per i quali vi chiedo di pazientare. O, se volete, potete accoglierli non solo come i miei tremendi limiti, ma anche come avvertimento che bisogna procedere sempre oltre, e il nostro “forse” è via per reinterrogare questa Parola sempre più grande e sempre troppo grande per noi.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni
…fammi sentire la tua voce…
Il Cantico, bellissimo, si è donato a noi e dai suoi giardini profumati ci conduce verso l’orto di Gerusalemme.
Grazie al Signore che ci ha donato una Parola meravigliosa, a don Giovanni che ci ha guidato, ancora una volta, per questa strada dell’Amore. Grazie a tutti voi!
Concludo con un “mio…Salmo”… povero e misero, che sta in fondo al mio cuore:
Signore,
non ti è sconosciuto neppure un filo d’erba,
conoscerai qualche palpito dei nostri cuori,
qualche pensiero leggero o pesante delle nostre menti,
qualche lacrima nascosta o manifesta,
qualche sorriso sincero o di circostanza…
perdonaci e accoglici Signore,
nel nostro nulla…
ma nulla non siamo per Te!
“Tu…fammi sentire la tua voce” è lo sposo innamorato che vuole sentire la voce dell’amata. E’ Dio che vuole sentire la nostra voce. Dio sente la nostra voce, il nostro grido, il nostro pianto, anche se non sappiamo neppure di rivolgerci a Lui, anche se non pensiamo che ci sia un Dio che ci ascolta. Lui c’è e vuol sentire la nostra voce. Dio in ascolto dell’uomo. Sembra quasi che Dio preghi l’uomo. Penso al Signore dell’Esodo che dice: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, … Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. ” (Es 3,7-9).
Voglio veramente dire grazie a tutti!