8 Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
9 Somiglia il mio diletto a un capriolo
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia attraverso le inferriate.
10 Ora parla il mio diletto e mi dice:
«Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!
11 Perché, ecco, l’inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n’è andata;
12 i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
13 Il fico ha messo fuori i primi frutti
e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!
14 O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro».
15 Prendeteci le volpi,
le volpi piccoline
che guastano le vigne,
perché le nostre vigne sono in fiore.
16 Il mio diletto è per me e io per lui.
Egli pascola il gregge fra i gigli.
17 Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
ritorna, o mio diletto,
somigliante alla gazzella
o al cerbiatto,
sopra i monti degli aromi.

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“Voce del mio diletto” dice, alla lettera, il ver. 8. E’ quando la parola di Dio si fa voce. E questo avviene quando ascoltando la Parola, percepisco finalmente questa Parola come “a me, per me”, non per una riduzione soggettivistica, ma perché, accolta nella sua semplice oggettività, diventa avvenimento per me, evento della mia vita. E’ quello il momento in cui Dio si presenta e si svela come “il mio diletto”. E ‘una venuta irruente, come a balzi, vincendo tutti quelli che potrebbero essere gli ostacoli, tutto quello che nell’attesa messianica dovrebbe essere trasformato in una via piana: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Isaia 40,3ss). Il suo agile arrivo mette in evidenza la condizione “prigioniera” in cui si trova l’amata. E’ memoria dell’antica prigionia egiziana, simbolo e paradigma di ogni prigionia della vicenda umana. Ma Egli viene a liberare!: “spia attraverso le inferriate”(ver. 9).
Ora finalmente la voce diventa “voce della Parola”, parola rivolta a chi dalla sua prigione ascolta colui che non l’ha mai abbandonata. Ella viene chiamata da lui “amica mia, mia bella”, come questo fosse ormai il suo vero nome, quello che compiutamente esprime la sua persona e la sua vicenda. E’ l’invito-comando “vieni”, impossibile se lui non l’avesse già liberata. E qui il mirabile “capovolgimento” del corso della natura. Mentre razionalmente cogliamo i fatti della vita, personali e collettivi, come “dentro” lo svolgersi del tempo, qui è la natura ed è il tempo, a “piegarsi” verso la storia che Dio costruisce con la sua creatura amata e con il suo popolo. Ai vers. 11-13, la natura e il tempo vengono invitati a celebrare, e ad unirsi in modo adeguato all’evento di liberazione e all’incontro d’amore tra Dio e il suo popolo.
E ancora un’immagine di prigionia, o meglio di nascondimento per la paura: paura dei molti nemici, o addirittura paura di Dio stesso a motivo della nudità nella quale l’umanità si è trovata per la colpa dei progenitori (Genesi 3). Ma ormai, senza temere, la colomba può mostrare il suo viso leggiadro e far udire la sua voce soave: sono i grandi segni della fine di una separazione e della restituzione delle nozze d’amore, per le quali l’umanità e stata creata e celebrando le quali il popolo del Signore vive. Così il ver. 14.
Pur nella luce e nella gioia dell’evento, non si possono ignorare i piccoli, pericolosi residui di inimicizia che sussistono in quest’ultimo prezioso tempo della primavera della nuova creazione, così preziosa, ma anche per questo così delicata: le vigne sono in fiore, un fiore fragile che deve essere difeso dalla devastazione delle piccole volpi (ver. 15).
Ed ecco allora la parola dell’amata, risposta alla voce dell’amato. E’ la grande confessione della fede, la grande proclamazione della vita nuova: “Il mio amico è mio, ed io sono sua” (alla lettera, al ver. 16). Non si tratta di un’eventualità, o di un fatto episodico. Questa è ormai la situazione, la storia nuova nella quale ogni vicenda si trova avvolta. Un’eterna alleanza che ha in Dio stesso e nella sua fedeltà la garanzia del suo carattere definitivo. Tuttavia, non siamo arrivati! Ancora c’è il tempo davanti a noi. E quindi ancora il tempo come attesa di compimento: “prima che,…torna, amico mio” (ver. 17). Percepiamo di essere alla fine del tempo. Ma solo lui è veramente la fine del tempo. Lui, questo sempre, e sempre più, atteso.
Al v.9 mi hanno molto impressionatole parole :
‘Eccolo egli sta dietro al nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate.’
Però il Signore non entra e convoca l’amata all’esterno, verso una stagione nuova, di fiori,di canto, di frutti,.
I muri (vedi Gerusalemme)e le inferriate rimangono dimenticati anche se è proprio dalla chiusura interiore del peccato che il Signore ci viene a recuperare, forse.
Le immagini del capriolo, del cerbiatto, della tortora, della gazzella mi sembra contribuiscano ad un’immagine dinamica della Voce (v.8.) di Dio, della Parola. Che mi pare contrasti molto con l’immobilità angosciante della sposa rinchiusa.
Lo sposo, rimasto lontano durante l’inverno (per pascolare il gregge), ora torna con la primavera. E qui c’è tutta una serie di immagini suggestive, poetiche: “…Viene saltando per i colli, simile a una gazzella…”. Si rivolge alla sposa: “Alzati, mia amica, mia bellezza… L’inverno è passato, la pioggia è cessata… Il tempo del canto è venuto…”. Un versetto “speciale” è il 16,a; don Giovanni lo ha tradotto alla lettera: “Il mio amico è mio ed io sono sua”. Ho sentito una volta renderlo così: “Il mio amato: io-per-lui, lui-per-me”; diceva il commentatore che in ebraico c’è una sola parola, dove noi dobbiamo riccorrere a molti termini. Ci vorrebbe Andrea a dare una indicazione! L’originale sembra rendere molto più efficacemente questa perfetta unità, un essere l’uno per l’altro…, quasi una identità tra le due persone.
L’amore è movimento (“il mio diletto viene saltando per i monti” v.8), è richiamo (“una voce!…parla il mio diletto”v.10), è risveglio. Come la natura dopo l’inverno. “Perché, ecco, l’inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n’è andata;” (v.11). L’amore è liberazione dalla prigionia della solitudine (“spia attraverso le inferriate” v.9).
Il richiamo dell’amore è “alzati”, è dire all’altro “alzati”, “risorgi”. Come nel vangelo di oggi, Gesù dice al paralitico, infermo da trentotto anni, e che non ha nessuno che lo butti nella piscina quando l’acqua si agita, Gesù lo ama e gli dice:”Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina” (Gv 5,8). L’amore mette in movimento, dà energie insperate, fa vivere.
“Il mio diletto è per me e io per lui.”
Che stupenda sintonia si avverte, un interscambio, un arricchimento reciproco, e contemporaneamente una unione profonda. L’Amore arricchisce le nostre singole anime, e nello stesso istante attiva una fusione. Un fiume ed un mare che si incontrano, che uniscono le loro acque con la loro bellezza, con i loro colori e profumi. L’uno ha bisogno dell’altro per completarsi e nutrirsi.
“Il mio fiume scorre verso te. Mi accoglierai, tu, azzurro mare?”
Emily Dickinson
roberto mi tira in ballo… non ho molto da aggiungere ai vostri commenti!
padre Gilbert, nella sua introduzione di venerdì (c’è la registrazione nella pagina dedicata al cantico dei cantici) confrontava il v. 16 “Il mio diletto è per me e io per lui” con il v.7,11 “Io sono per il mio diletto
e la sua brama è verso di me”.
Nel primo c’è una forte idea di possesso che richiama anche i termini dell’Alleanza Dio-popolo (io sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo) nel secondo la sposa dice solo “io sono sua” sono per lui… senza dire che lui è suo! Quindi un amore di pura donazione e non di possesso.