Tuttavia, in quello in cui qualcuno osa vantarsi – lo dico da stolto – oso vantarmi anch’io. 22 Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! 23 Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. 24 Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; 25 tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. 26 Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; 27 disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. 28 Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. 29 Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?
30 Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. 31 Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. 32 A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, 33 ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani.
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Le persone che, secondo il ver.21, si vantano, sono questi ebrei cristiani che rivendicano ed esigono l’osservanza di pratiche e di regole legate al giudaismo, ormai inattuali e inopportune per la fede cristiana.
Paolo afferma di voler osare di vantarsi anche lui (ver.21), e con ragioni di vanto ben superiori!
Anche lui è ebreo, israelita, della stirpe di Abramo (ver.22).
Ma molto più di loro egli è ministro di Cristo!
I vers.23-27 descrivono l’impressionante vicenda dei suoi travagli che mostrano la sua esistenza esposta a continui drammi e prove.
E, “oltre a tutto questo – dice Paolo – il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese” (ver.28).
Tutto questo si raccoglie nella sua esistenza radicalmente segnata dalla debolezza!
Questa debolezza si illuminerà, nel capitolo seguente della Lettera, come presenza e celebrazione della debolezza stessa del Signore.
Per questo, egli dice al ver.30 di volersi vantare proprio e soprattutto di questa debolezza!
E cita, ai vers.32-33, l’avventurosa e drammatica sua fuga da Damasco.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Un’altra pagina straordinaria di Paolo, di grande bellezza ed efficacia letteraria, e importante come descrizione autobiografica. Abbiamo anche una data: poiché il re Areta morì nel 39 o 40 d.C., la fuga da Damasco deve essere avvenuta prima di quell’anno. – E’ bello che il lungo elenco di fatiche, prove, pericoli si concluda con ciò che gli sta più a cuore: la preoccupazione per tutte le chiese; la “cura”, la “sollecitudine” (come dice efficacemente il latino) per le varie comunità. E Paolo spiega subito il motivo di tale sollecitudine: il suo immedesimarsi con i membri delle comunità stesse, soprattutto con i più deboli, i più fragili: “Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?” Nel suo argomentare, gli sfugge anche una brevissima benedizione al Padre, alla maniera ebraica: Sia Egli benedetto nei secoli! Sia lodato per sempre!