8 Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, 9 a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! 10 Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
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Un’istanza proveniente da Gerusalemme chiede che quando si celebra, come oggi S.Mattia apostolo, una festa, non si rinunci a quelle Scritture che la descrivono, come oggi il testo degli Atti degli Apostoli per S.Mattia. Un’altra istanza, proveniente da Sammartini, soffre all’idea di una giornata in cui si rinuncia alla Lectio continua. Per questo, noi oggi non rinunciamo a celebrare nella Messa il testo degli Atti, ma anche spezziamo in due il testo di 2Timoteo previsto per domani, ascoltando i vers.8-10. Insomma, una gran confusione, di cui dobbiamo domandare scusa soprattutto ai due di Gerusalemme.
La versione italiana del ver.8 riflette la sua origine dal testo della Vulgata. E’ molto bello il testo greco che dice:”Ricordati di Gesù Cristo…risuscitato dai morti”, cioè ricordati di Lui, piuttosto che “..ricordati che Lui”. In ogni modo non è una gran differenza! Al centro dunque della “memoria”, elemento essenziale della fede ebraico-cristiana, il Cristo della Pasqua. Il credente vive di questa memoria e per questa memoria. La vita cristiana è questa “memoria” di Gesù morto e risorto, memoria celebrata in ogni esistenza. Come vediamo bene anche nel nostro testo di oggi, la vita di Paolo si rivela come “memoria” di Gesù e della sua Pasqua. E allo stesso modo Paolo invita Timoteo a “ricordare”, che quindi è ben più che un semplice fatto mnemonnico, ma appunto una “celebrazione” di tutta la vita, la celebrazione della Pasqua del Signore nella nostra vita. Chi in un modo che in un altro. Sono importanti anche altre due affermazioni del ver.8: la stirpe di Davide e il “mio” vangelo. Dire che Gesù è “della stirpe di Davide” vuol dire collegare la sua persona e la sua vita alla grande profezia di Israele, e quindi cogliere la sua Pasqua come compimento delle attese di Israele e quindi del grande gemito di attesa di tutta la crezione e di tutta la storia. Quanto a quel “mio” del vangelo di Paolo, si deve dire che certo nell’economia della salvezza Paolo annuncia un Vangelo che è secondo il taglio particolare che il Signore ha svelato e affidato alla sua predicazione. Però penso che in piccolo ognuno di noi abbia un “suo” vangelo, cioè ci sia per ognuno di noi una via particolare nella quale lo Spirito “scrive” il Vangelo di Gesù. Ognuno, in certo modo è un “vangelo” del Signore.
Al ver.9 si dice in italiano che “a causa” di questo Vangelo Paolo soffre. Ma alla lettera il testo dice semplicemente che è “nel” Vangelo che Paolo soffre. E’ bellisimo pensare che la “pasqua” di Paolo e di ogni discepolo del Signore sia già “nel” Vangelo! E’ bello vedere che la nostra passione, la nostra Pasqua di morte e risurrezione è già dentro il Vangelo! Nello stesso ver.9 si parla di catene(!) per dire che, però la parola non è incatenata. Si può arrivare a pensare che addirittura le catene della prigionìa siano il principio e la causa della vera grande “libertà” della Parola che egli testimonia. Chi lo incatena non sa che proprio questo è il principio e la causa della epifania suprema del Vangelo che Paolo vuole e deve annunciare sino alla suprema testimonianza.
Perciò nella pena di Paolo sta tutta la sua intenzione di salvezza “per gli eletti”, affinchè, come lui, anche coloro che Dio ha affidato alla sua testimonianza possano, condotti dalla sua testimonianza che conferma e illumina la sua predicazione, raggiungere la salvezza che è in Cristo Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ma, che dire… i due di gerusalemme si sarebbero associati volentieri a questa intagrazione-cambio di letture se l’avessero saputo in tempo!