3 Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove; 4 ma se una vedova ha figli o nipoti, essi imparino prima ad adempiere i loro doveri verso quelli della propria famiglia e a contraccambiare i loro genitori: questa infatti è cosa gradita a Dio. 5 Colei che è veramente vedova ed è rimasta sola, ha messo la speranza in Dio e si consacra all’orazione e alla preghiera giorno e notte; 6 al contrario, quella che si abbandona ai piaceri, anche se vive, è già morta.
7 Raccomanda queste cose, perché siano irreprensibili. 8 Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele.
Seleziona Pagina
Come anticipavo nel commento al testo precedente, riprendiamo qualche considerazione dal ver.3. Consideriamo, al ver.3, l’invito di Paolo a Timoteo: “Onora”. Nella Parola di Dio questo verbo acquista un significato particolarmente importante e prezioso, perché onorare significa, nel grande orizzonte della parola di Dio, riconoscere e sottolineare il legame e la comunione tra una persona, o una condizione, o una vicenda e il mistero di Dio! Perché in Gesù tutta la realtà della creazione e della storia è stata visitata e illuminata da Lui, e in particolare la realtà umana. Dicendo dunque di “onorare le vedove” l’Apostolo vuole mettere in luce il significato profondo di questa situazione. Il primo dato, di grande rilievo in una società antica del tutto priva di garanzie e soccorsi sociali, la vedovanza è una grande e grave esposizione alla povertà. In tal senso mi sembra significativo che al ver.5 l’espressione “che è rimasta sola”, nella versione latina si esprima con il termine “desolata”, che vuole dire una condizione di solitudine (de-solata), ma che in italiano dice insieme anche la fatica e lo sconforto di simile condizione. Siamo dunque davanti ad una vicenda di solitudine e anche di povertà, che nel Signore può conoscere e vivere una vicenda cristianamente luminosa.
Dunque, una condizione di bisogno. Non sempre però. Il ver.4 precisa che, ove siano presenti e vive delle relazioni parentali, la solitudine di quella donna deve essere occasione doverosa di solidarietà famigliare, e in particolare di coloro che, figli e nipoti, possono e devono in questo caso “contraccambiare i loro genitori”.
Il ver.5 mette in evidenza come quella stessa povertà, quando non è protetta da solidarietà famigliari, ed è quindi vera povertà, sia elemento importante di una vita che ha nel Signore il suo riferimento assoluto. Dice il ver.5 che la donna che si trova in tale stato “ha messo la speranza in Dio e si consacra all’orazione e alla preghiera giorno e notte”. Don Giuseppe Dossetti mi invitava a considerare questa vicenda, e anche quella della donna che rimane sola perché lasciata dal marito, con particolare attenzione e affetto. Essa richiama infatti la condizione della persona consacrata al Signore, che vive la sua nuzialità con il Cristo Sposo, uno Sposo che fisicamente non si vede e che con umiltà e fede viene atteso nella pienezza della vita eterna, e con il quale si vive una profonda comunione nella preghiera e nella carità. Nel nostro tempo questa situazione è molto diffusa, ed è spesso orizzonte di grande sofferenza e desolazione. Ma ha in sé la possibilità di un grande riscatto e di una viva preziosità! Altrimenti, la solitudine dallo sposo (e, quando raramente succede!) dalla sposa, può essere principio di una vita disordinata e lontana dalla pace di Dio (ver.6).
Non sono “dogmi”, ma perle preziose della sapienza e dell’esperienza della vita cristiana.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.