18 Questo è l’ordine che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie già fatte su di te, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia, 19 conservando la fede e una buona coscienza. Alcuni, infatti, avendola rinnegata, hanno fatto naufragio nella fede; 20 tra questi Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a Satana, perché imparino a non bestemmiare.
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La conclusione del cap.1 mi sembra confermi la responsabilità che Paolo affida a Timoteo circa la custodia della fede della comunità di fronte al pericolo di dottrine deformanti e pericolose. Sono quelle che ha chiamato “dottrine diverse …favole e genealogie interminabili.. più adatte a vane discussioni che non al disegno di Dio che si attua nella fede” (vers.3-4). A questo fine egli ricorda al suo giovane discepolo la responsabilità che gli è stata data con l’incarico ministeriale che gli è stato conferito. Sono un po’ incerto sul significato delle “profezie” di cui parla il ver.18: si tratta di particolari rivelazioni e insegnamenti dati a Timoteo, o semplicemente alle parole che nella liturgia gli hanno attribuito il compito del ministero? Propenderei per la seconda ipotesi, ma senza escludere la prima: forse un “commento” personalizzato delle parole della liturgia? Ditemi cosa ne pensate!
L’affermazione “avendola rinnegata” si riferisce forse alla “buona coscienza” che accompagna e custodisce il dono della fede. I due che “hanno fatto naufragio nella fede” forse non hanno conservato quella “buona coscienza”, cioè una coscienza relativa al dono della fede. Imeneo e Alessandro l’hanno “rinnegata” (ver.19). La severa espressione che dice la “consegna a Satana” ha una funzione terapeutica. Anche se severo, il provvedimento ha come scopo il recupero: “…perché imparino a non bestemmiare”. Il giudizio deve essere sempre “salvifico”, e cioè teso a ritrovare la via della salvezza. Non una sentenza di condanna.
La vita di fede, proporzionatamente alla persona e alle sue responsabilità è in ogni modo, e sempre, una “buona battaglia”. Non una battaglia di violenza mondana, ma una battaglia per la salvezza e per la custodia del dono di Dio. Questo mi ha riportato al ver.5 di questo capitolo: “Lo scopo del comando (è la stessa parola che qui, al ver.18, dice “l’ordine che ti do”) è però la carità, che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Riguardo alle “profezie”: secondo le note si tratterebbe o di parole di “profeti” presenti nel momento dell’incarico ministeriale dato a Timoteo (Atti e Lettere attestano la presenza di questi profeti nella comunità) oppure di “discorsi ispirati” formulati in quella circostanza. – Ben radicato in quei discorsi, in quelle parole, Timoteo è in grado di combattere la buona battaglia della fede; alla lettera è “la bella battaglia”: quella che anche ognuno di noi a chiamato a combattere per conservare la fede, cioè rimanere aperto al dono di Dio, accogliere la parola di Gesù con fiducia e gioia.
Mi pare che questo passaggio della lettera colleghi con forza il ministero conferito a Timoteo per mano dell’Apostolo ad un carisma ben presente nella chiesa delle origini: la profezia. È centrale che il ministero di Timoteo venga fatto dipendere direttamente dal dono della Parola proclamata, annunciata e spiegata. Paolo ricorda a Timoteo che il ministero episcopale non origina da una sua decisione, né dalla volontà dell’Apostolo, ma dalla risposta, nella comunità, alla Parola del Signore. È l’attualità della Parola proclamata nella liturgia e creduta nella comunità, Dio che oggi ci parla, che costituisce Timoteo nel suo ministero. E Paolo già ha detto chiaramente con quale compito primario: la buona battaglia della carità. Così l’accoglienza affettuosa della Parola costruisce la comunità affidando carismi e ministeri, perché essa possa crescere nella fede e celebrare la gloria del suo Signore.