11 Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima. 12 Tenete una condotta esemplare fra i pagani perché, mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere diano gloria a Dio nel giorno della sua visita. 13 Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore: sia al re come sovrano, 14 sia ai governatori come inviati da lui per punire i malfattori e premiare quelli che fanno il bene. 15 Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti, 16 come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. 17 Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re.
1 Pietro 2,11-17

I due attributi che al ver.11 qualificano i discepoli di Gesù – “stranieri e pellegrini” – sono di grande rilievo nella Parola del Signore che oggi celebriamo nella nostra preghiera perché, diversamente da come possono far pensare ad atteggiamenti e collocazioni di separatezza e di evasione, si rivelano come il criterio supremo della presenza del credente nel mondo e della sua azione in esso. E codificano il legame profondo tra la vita interiore della persona e la sua presenza alle vicende della società in cui vive. Il discepolo di Gesù, proprio perché straniero e pellegrino in questo mondo, al mondo porta il segno e il respiro di una vita nuova e del tutto alternativa alle sapienze della mondanità.
Per questo il ver.11 chiede che la condizione di “stranieri e pellegrini” tenga i credenti lontani “dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima”. I desideri della carne sono complessivamente tutte le note della natura umana tese e dominate dall’istinto di un “io” fragile e insieme ambizioso, povero e avido insieme, impaurito dal suo destino di morte e indotto quindi a coprirlo con ogni istinto di voluttà. In tal modo i credenti, anche se esposti alla calunnia del mondo per la loro “diversità”, sono per questo stesso mondo occasione per vedere le loro “buone opere” e per arrivare a dare “gloria a Dio nel giorno della sua visita”, cioè alla fine dei tempi. Dunque quella dei cristiani si presenta come un’ “estraneità” preziosamente esemplare per i loro stessi calunniatori.
Per cogliere il senso profondo delle indicazioni date ai vers.13-17 bisogna far riferimento a Gesù stesso, e in particolare agli eventi della sua passione e della sua morte. Lì si può cogliere in profondità il volto e il significato della sottomissione “ad ogni umana autorità per amore del Signore”(ver.13). All’opposto da essere atteggiamenti di servilismo e di competizione di potere, queste sono le vie in cui “operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti”(ver.15). Il ver.16 ci regala allora il supremo statuto della vera libertà: uomini liberi come servi di Dio! La libertà non come “un velo per coprire la malizia”, ma come testimonianza del mistero del Figlio di Dio.
Bellissima anche la conclusione del ver.17. I caposaldi del comportamento cristiano: il “timore di Dio” come consapevolezza di vivere davanti a Lui e con Lui; “l’amore” come la vita nuova che fiorisce nel vincolo profondo della fraternità cristiana; e “l’onore” come rispetto dovuto a tutti e quindi anche a chi è investito di autorità.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Poter avere quella “condotta esemplare”, tra noi e “fra i pagani”! In cosa consiste? Nel praticare “opere buone” che diano gloria a Dio. Nel Vangelo di Matteo, le opere buone che portano a glorificare il Padre sono quelle conformi alle beatitudini e al comandamento primario dell’amore per i nemici, l’amore per tutti. Il risplendere del Padre nelle nostre (pur piccole) opere buone, in vista della salvezza di tutti: questa è la sua volontà (v.15). Bello l’accostamento del v.16: operare “come uomini liberi” equivale a operare “come servi di Dio”.