BOLOGNA – Giovedì 27 luglio 2017 l’Arcivescovo mons. Matteo Zuppi ha presieduto la Messa di suffragio del nostro carissimo Luigi Pedrazzi a 30 giorni dal suo passaggio da questo mondo al Padre. Concelebranti don Carlo Bondioli (parroco) e don Sebastiano Tori.

La Messa è stata celebrata presso la Chiesa dell’Annunziata (Bologna, Porta San Mamolo) dove Luigi ha vissuto alcuni momenti salienti della sua vita, innanzitutto le nozze con Ada il 13 febbraio 1954.

Le letture sono state: At 13,26-43; Sal 27; Lc 9,43b-50.

Riprendendo il secondo annuncio della Passione (Lc 9,44),  mons. Zuppi ha detto: «Non basta guardare, cercare la forza nelle cose di questo mondo. Non basta sentirsi forti guardando i segni. Gesù ci coinvolge nella sua scelta che è quella di donarsi. È lo scandalo della sua debolezza. La forza dei cristiani non è l’affermazione di sé. La forza dei cristiani è Gesù che si lascia consegnare nelle mani degli uomini,  che non si nasconde ma viene esposto sulla croce. La sconfitta, la debolezza, il dono di sé. Questo credo che Gigi l’abbia vissuto in maniera generosa, appassionandosi non a un cristianesimo forte che si impone ma a un cristianesimo che si fa vicino, che si fa dono, che si fa cammino insieme agli altri. Non è stato a guardare grandi segni ma si è messo a cercare nella debolezza del dono. In quella che può essere la sconfitta del dono, il perdersi. L’andare incontro agli altri è la vera vittoria».

L’Arcivescovo si è poi fermato su due brani del Vangelo che gli hanno ricordato Gigi. Il primo brano è la discussione su chi sia il più grande (vv.46-48). «Quando cerchiamo un cristianesimo “da grandi”, che sia forte , che sia da “cristianità”, spesso si finisce per chiedersi chi sia il più grande. Si entra in beghe da sagrestia, in malattie che prendono la Comunità cristiana quando si dimentica la via del servizio, della bontà, della generosità, dell’andare incontro agli altri. Credo che tutti noi ricordiamo Gigi come un uomo generoso, che si è preso responsabilità, con leggerezza, senza calcolo, senza attenzione per la propria considerazione. Perché grande è colui che serve. E poi Gesù indica un bambino. L’accoglienza all’ultimo può dare nessun contraccambio, la si dà solo per quello che è, solo per dare futuro e accoglienza a chi è più piccolo. E anche in questo penso che tanto dell’impegno, dei sogni, della passione di Gigi sia stato per quei bambini».

Il secondo brano era: «chi non è contro di voi è per voi» (v.50). «Questa affermazione mi ha ricordato Gigi … e un suo grande amico, Pietro Scoppola, che  Paolo VI aveva definito “un cristiano per caso”. Esistono confini ristretti, la logica della contrapposizione, “i nostri e i loro”  … quella seguita dai discepoli quando dicevano (v.49-50): “Quello lì fa dei segni ma …”. La traduzione evangelica precedente era ancora più efficace perché diceva: “ma non è dei nostri”. La nuova traduzione dice: “ma non cammina con noi”. Alla fine il senso è il medesimo. Credo che Gigi abbia vissuto la “larghezza” di Gesù che dice: “chi non è contro di noi è per noi”. È un’alleanza che è tanto più larga del nostro piccolo giardino, in cui tanti cercano di scoprire la presenza del Signore che è tanto più larga. Noi, che qualche volta pensiamo che gli altri siano contro di noi anche quando non lo sono. Noi, che tante volte guardiamo la pagliuzza e non sappiamo riconoscere il bene che è nascosto in ogni uomo. Lo guardiamo con timore, nella logica “interna” dei discepoli. Credo che la vita, le tante battaglie, la testimonianza, la passione, la generosità di Gigi ci aiutino ad avere un senso largo e grande, da sentire nostro anche quello che non lo è immediatamente, da essere dono anche per quelli che guarderemmo con diffidenza».

Durante la sua omelia mons. Zuppi ha ampiamente citato la monografia: «Il mio vissuto eucaristico», scritta da Luigi in occasione del Congresso eucaristico diocesano del 1997. Così ha concluso l’omelia:

«Infine leggerei due cose di Gigi che mi hanno fatto del bene e che ci portiamo nel cuore. Gesù è [pag. 50] “pensiero che si fa parola e persona; e, con la croce, invenzione di un rovesciamento straordinario tra patibolo e trono, regalità e servizio, per cui questo suo patire diventa la massima delle azioni benefiche ed esemplari. Dare la vita, non toglierla; farsi consumare e non l’opposto. Per statuto, il cristiano sarebbe l’uomo che non può uccidere mai, come non può restare morto da morto. Nel privilegio di questa informazione e consolazione si radica, grande ed urgente, un obbligo di speranza per tutti, una capacità nuova di azione e di vita diversa, personale e comune”. Penso che quando Gigi l’ha scritto fosse già un po’ vecchierello e però sentiva ancora molto questa capacità “nuova”, per sé e per gli altri”. L’Arcivescovo ha poi letto quest’altro brano [pag. 56]: “Forse, sono fin troppo facilmente immedesimato con i due salmi dolcissimi che mi piacerebbe fossero cantati alle esequie mie e di mia moglie, quando verrà questo giorno. Dal mio, che è il 126, cito solo i versetti centrali: ‘Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare’. Con mia moglie ho scelto, per lei, ma forse ancora per me, il Salmo 127: ‘Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai di ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Possa tu vedere i figli dei tuoi figli e pace su Israele’ ”. Gigi e Ada hanno visto, e oggi vivono la pienezza di questa promessa del Signore».

Qui di seguito, pubblichiamo la registrazione audio dell’omelia dell’Arcivescovo: