Caro don Giovanni, ho seguito fin dall’inizio i suoi interventi domenicali sul Carlino. Cerco sempre di leggere quello che lei scrive, tutto filtrando attraverso la mia non fede e la mia ironia. Però le confesso di trovare dentro di me una grande simpatia nei suoi confronti. Ho fatto il tentativo di pensare che forse anche lei, in fondo, la fede non l’abbia. E che tutto in lei si raccolga in un’ammirazione affettuosa per tutti e per tutto. Ma è questa la fede? Sbaglio? Forse il mio messaggio è meglio non pubblicarlo. Spero in ogni modo che lei capisca che non voglio assolutamente recarle offesa. Anzi. Con amicizia sincera. messaggio firmato

La ringrazio vivamente per il suo messaggio, e non trovo difficoltà ad entrare nella piccola sfida che lei mi rivolge. Mi sono domandato molte volte se ho la fede. Una prima risposta è che non credo di avere una fede "autonoma", nel senso che mi sembra che la mia eventuale fede sia del tutto collegata e dipendente dalla fede di altri. Forse la mia fede è essere legato e collegato alla fede di persone che nel passato e nel presente ho ammirato e amato, e dalle quali ho ricevuto grandi beni. Dunque, se Dio mi ha regalato la fede, certamente si è servito in modo determinante di chi me l’ha passata. La fede è dono di Dio: lo ringrazio per tutti gli angeli che ha mandato a portarmela. Ma che cos’è la mia fede…se c’è? Mi attira la sua ipotesi circa un ridursi tutto all’ammirazione. E’ quello che di Dio mi sembra di aver scoperto negli anni lunghi della mia vita. Ho scoperto che tutta la complessità di quello che di Dio si dice, e anche quello che Lui dice di Sè nella sua Parola, si raccoglie in un punto solo, e cioè nel suo infinito e travolgente volerci bene. Il nostro è un Dio molto diverso dagli altri, perchè questo suo travolgimento d’amore l’ho da sempre esposto ai pericoli, alla debolezza, e, come si sa, addirittura alla morte. Per cercarci ha fatto pazzie, sin da principio, perchè fin da quasi subito, dal terzo capitolo della Bibbia, ci ha persi. Come il pastore pazzo della parabola, pazzo d’amore, si è messo in testa e nel cuore di cercarci finchè non ci trova. Per fermarlo, in tutti i tempi i suoi colleghi "dèi" hanno assoldato teologi di razza che gli facessero una maschera dignitosa e severa che lo rimettesse al suo posto. Ma perdersi per noi è in lui un vizio invincibile. Gli dèi normali cercano di dimostrare che tutto il male è colpa nostra. Lui di questo non dice niente e si butta a capofitto nei nostri guai come se fosse colpa sua. Una tradizione ebraica dice che quando è morto Mosè, Dio ha disperatamente pianto, sicuro che non avrebbe mai più trovato un amico caro come Mosè. Ma da quando l’ho visto piangere vicino alla tomba di Lazzaro, ho capito che piange non solo per Mosè e per Lazzaro, ma per tutti! Sono pienamente d’accordo con la gente che, quando l’ha visto piangere per Lazzaro, ha detto: Guarda come lo amava. Quando uno muore, Lui piange e patisce fino alla Croce. La mia fede nella risurrezione sta tutta qui: ci vuole troppo bene per permettere che anneghiamo nella morte. Per questo mi piace dire insieme al re Davide: di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima, e anche il mio corpo riposa al sicuro. Con amicizia. Giovanni della Dozza.