24 Novembre 2002
NOSTRO SIGNORE GESÙ
CRISTO RE DELL’UNIVERSO
(XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A)
Matteo 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «31 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?
40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.
41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.
44 Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
1) Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua
gloria: si tratta di una
descrizione profetica dell'ultima venuta del Cristo alla fine del mondo. Egli
verrà come un re, per giudicare tutti i popoli. Al c. 16, v. 27, Gesù aveva
detto: Il Figlio dell'uomo verrà nella
gloria del Padre suo con i suoi angeli e renderà a ciascuno secondo le sue
azioni.
2) Egli separerà gli uni dagli altri e porrà
le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra: l'immagine forse deriva
da Ez 34,17 (I lettura: A te, mio gregge,
dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e
capri).
3) Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo: la salvezza si attua secondo un piano preordinato, un preciso disegno di Dio.
4) Perché io ho avuto fame...: le azioni lodate da Gesù non sono imprese impossibili; esse corrispondono alle opere di misericordia descritte dalla Scrittura (vedi, ad esempio, Is 58,7: Dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto, vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne).
5) Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli...: viene detto per due volte “ogni volta” e “ad uno solo”. Questo sta a evidenziare la preziosità di ogni azione e di ogni "piccolo" verso il quale essa è rivolta. Il servizio in favore di un piccolo è una cosa umile, ma importantissima agli occhi del Signore. Un insegnamento analogo si trova in Mt 10,42: Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché mio discepolo, in verità vi dico non perderà la sua ricompensa. Qui l'espressione perché mio discepolo viene sostituita da questi miei fratelli più piccoli, per proclamare la relazione che unisce Gesù a tutti gli uomini che si trovano in qualche necessità.
6) l'avete fatto a me: i piccoli e i poveri sono il segno più forte di Gesù, che in essi si identifica. Questo è importante: nei poveri Gesù può essere servito anche da quelli che non lo conoscono.
7) La seconda parte del brano, vv 41-45, è sviluppata in parallelismo antitetico con la prima: riporta al negativo le stesse frasi dei vv 35-40.
8) E se ne andranno, questi al supplizio eterno,
e i giusti alla vita eterna: la condanna al supplizio eterno può essere
intesa non come una realtà, ma come un'ammonizione, perché l'uomo corregga la
sua condotta.
Ezechiele
34,11-12.15-17
11 Così dice il Signore Dio: «Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. 12 Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.
15 Io
stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del
Signore Dio. 16 Andrò
in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò
quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le
pascerò con giustizia.
17 A
te, mio gregge, dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora,
fra montoni e capri».
1) Io stesso cercherò le mie pecore: poiché i pastori che il Signore aveva assegnato alla custodia del gregge hanno pasciuto se stessi senza avere cura del gregge (Ez 34,10, non compreso nel testo liturgico), è il Signore stesso che interviene in prima persona. Trova così esaudimento la preghiera del profeta Michea: pasci il tuo popolo con la tua verga, il gregge della tua eredità che sta solitario nella foresta… Come quando sei uscito dall’Egitto, mostraci cose prodigiose (Mi 7,14-15). Giunge in questo modo a pienezza l’opera di ricerca e di salvezza dell’uomo, iniziata da Dio subito dopo il peccato delle origini: dove sei? (Gen 3,9), chiede il Signore ad Adamo, ponendosi alla sua ricerca. In questa unicità del Signore, come unico salvatore del suo popolo, si manifesta tutta la sua potenza e regalità: Io sono il Signore, fuori di me non v’è Salvatore (Is 43,11).
2) …e ne avrò cura (Vulg. visiterò): il verbo ricorre per tre volte nel testo e significa “osservare diligentemente, curare, visitare”. Dio visita il suo gregge, lo osserva con attenzione e se ne prende cura: in quel giorno – dice il Signore – radunerò gli zoppi, raccoglierò gli sbandati e coloro che ho trattato duramente… e il Signore regnerà su di loro… per sempre (Mi 4,6-7).
3) Come un pastore passa in rassegna (Vulg.
visita; LXX ricerca) il suo gregge, quando si trova in mezzo
alle sue pecore che erano state disperse…: è una dispersione dovuta al
peccato e ricorda la dispersione che segue alla torre di Babele (il Signore li disperse di là su tutta la
superficie della terra. Gen 11,8).
4) …così io passerò in rassegna (Vulg. visiterò) le mie pecore e le radunerò: le nubi e la caligine avvolgono le
pecore, cosicché il pastore deve ricercarle ad una ad una per liberarle
dall’oscurità di quei luoghi. È una oscurità che ricorda quella dell’Egitto (Il Signore disse a Mosè: Stendi la mano
verso il cielo; verranno tenebre sul paese d’Egitto, tali che si potranno
palpare!… Vennero dense tenebre… non si vedevano più l’un l’altro. Es
10,21-23) e quella del giorno del giudizio (viene
il giorno del Signore… giorno di tenebra e di caligine, giorno di nube e di
oscurità. Gl 2,2).
5) Andrò in cerca della pecora perduta,
ricondurrò all’ovile quella smarrita:
il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto
(Lc 19,10).
6) Fascerò quella ferita, curerò quella malata… le pascerò con giustizia: non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi (Lc 5,31-32); Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,17).
1
Corinzi 15,20-26.28
20 Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21 Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; 22 e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. 23 Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; 24 poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza.
25 Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26 L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte. 28 E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
1) Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti: il termine primizia non significa solo un’annotazione temporale, ma si riferisce alla tradizione liturgica dei nostri padri ebrei; il meglio delle primizie del tuo suolo lo porterai alla casa del Signore tuo Dio (Es 23,19). Come l’offerta delle primizie simboleggia la consacrazione a Dio dell’intero raccolto, così la resurrezione di Cristo include la resurrezione di tutti coloro che sono morti.
2) Poiché, se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la resurrezione dei morti: questo parallelismo fra Adamo e Cristo è uno degli insegnamenti centrali di Paolo; infatti, se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo (Rm 5,17).
3) Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre: nel testo della Passione secondo Giovanni Gesù consegna lo Spirito al Padre (Gv 19,30); nel momento della sua morte di croce Gesù restituisce il regno e la regalità che gli era stata donata, per ridurre al nulla (Vulg. evacuare) ogni Principato e ogni Potestà e Potenza.
4) Finché abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi: l’esercizio necessario di questa regalità è per annientare i nemici e, alla fine, il nemico più grande, la morte.
5) Anche il Figlio sarà sottomesso a Colui che
gli ha sottomesso ogni cosa: la vita di Gesù è tutta nel segno della
piccolezza; a Nazaret stava loro
sottomesso (Lc 2,51); alla fine renderà a suo Padre, assieme a tutte le
creature redente, la sua stessa regalità.
SPIGOLATURE
ANTROPOLOGICHE
Con grande audacia sapienziale e culturale la Chiesa compie oggi un'operazione di “collegamento” molto interessante, operazione del resto presente nelle Scritture stesse, se vale l'ipotesi formulata in questo “foglietto”, secondo il quale la memoria evangelica quasi citerebbe il testo di Ezechiele. In realtà tra i due brani c'è un salto enorme, perché il testo profetico ci parla del ritorno e dell'incontro nella terra del Signore di tutto l'Israele disperso, mentre il Vangelo ci parla della convocazione finale di tutti i popoli del mondo, nell'unica regalità del Cristo.
Anche il testo della lettera ai Corinzi proclama il carattere assolutamente universale del mistero cristiano: tutta la stirpe di Adamo, cioè appunto tutta l'umanità, è salvata e posta “oltre la morte” dalla morte-risurrezione del Figlio di Dio. Tutta la storia dell'umanità viene dunque descritta come l'opera salvifica di chiamata e di liberazione di tutte le genti dalla prigionia della Morte. È la vera “globalizzazione”.
L'operazione culturale proposta oggi dai testi liturgici è dunque l'affermazione del legame tra il radunarsi del disperso popolo di Dio nell'unica Terra e il radunarsi finale di tutte le nazioni del mondo. In tal senso la comunione di fede tra i discepoli di Gesù non sarebbe semplicemente un “buon esempio” per il mondo, ma avrebbe una sua reale potenza, un potere di sollecitazione e di rafforzamento nei confronti delle nazioni.
Peraltro il testo di Matteo afferma con molta determinazione che c'è una norma, un principio, una condizione di questa appartenenza delle persone e dei popoli al Regno finale del Cristo. Ed è la regola dell'amore. Sembra di dover dire che la “previsione biblica” circa l'esito finale della storia non è quella dell'esplicito riconoscimento della regalità del Cristo da parte di tutte le genti, ma piuttosto la “sorpresa” delle genti davanti a un “giudizio” finale e universale che definisce il rapporto di questi “lontani” con il Salvatore del mondo attraverso opere di amore nei confronti dei “fratelli più piccoli” di Gesù di Nazaret.
Dire che questi “fratelli minimi” del Cristo sono i poveri non è certamente sbagliato, ma forse è un po' riduttivo rispetto alla “sfida” che questo testo evangelico oggi rivolge alle nazioni.
Ma non solo alle nazioni. Anche ai cristiani. Perché sono loro, popolo disseminato in mezzo ai popoli, quel “popolo di minimi”, che con la sua piccolezza fino alla Croce di Cristo è strumento e luogo di salvezza per le genti della terra.
Ormai molti anni fa il grande Arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro fece un intervento al Concilio Ecumenico per affermare che la povertà non è per i cristiani un ornamento o una semplice virtù, ma costituisce il nucleo privilegiato della loro condizione e del loro cammino esistenziale. A dire che essere cristiani e essere poveri in certo modo coincide, e non solo e non tanto perché tutti i poveri sono nella predilezione del Padre, ma prima di tutto perché tutti i cristiani sono sigillati dallo Spirito di povertà del Cristo, e il “farsi poveri” nell'obbedienza al Padre fino alla Croce è il cuore dell'esperienza cristiana. Per questo allora il Cristo, nel grande giudizio finale per tutte le nazioni, li indica come quel potente Sacramento di Lui che apre la porta della salvezza a tutti coloro che non l'hanno mai visto né conosciuto. Ciò che è fatto o non fatto a uno di questi piccoli che sono i cristiani è fatto o non fatto al Cristo. Poveri noi!