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V SETTIMANA T. O. (ANNO A)

 

Matteo 5,13-16

In quel tempo,Gesù disse ai suoi discepoli 13 «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15 né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.

16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli».

 

1) Il brano di oggi continua il discorso di domenica scorsa: essere beati è riconoscere l’incontro con Dio nella nostra povertà; questo ci dà una responsabilità nuova: essere sale e luce della terra.

2) Voi siete il sale della terra: in Lv 2,13 leggiamo: Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione; nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta offrirai del sale.

Il sale, così ripetutamente nominato, indica l’alleanza col Signore, dà sapore a ogni offerta, è capace di sanare (cfr. 2Re 2,21 Eliseo si recò alla sorgente dell’acqua e vi versò il sale pronunciando queste parole: Dice il Signore: rendo sane queste acque, da esse non si diffonderanno più morte e sterilità).

3) Se il sale perdesse il sapore: restare “insipidi” è un rischio reale e non è un’azione neutra, priva di conseguenze, ma ci pone nella condizione di chi, trovata la perla, la sotterra.

4) Voi siete la luce del mondo: è un’affermazione forte, ricca, che mostra la dignità che il Signore ha dato alla nostra carne, assumendola. È Lui stesso la luce: Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo (Gv 9,5), che era stata preannunciata da Isaia: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce (Is 9,1), vista da Simeone: I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele (Lc 2,32), ma anche noi ne partecipiamo, nella misura in cui seguiamo Gesù: Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Gv 8,12).

5) Né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio: il dono della luce va custodito e condiviso con chi abita la casa e investe ogni luogo e ogni persona; dice San Paolo agli Efesini: Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore, comportatevi perciò come i figli della luce;… il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia, e verità (Ef 5,8-9).

6) Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini: il dono riguarda tutti, non conosce confini; ancora San Paolo, riprendendo Isaia, afferma in At 13,47: Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce alle genti perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra.

7) Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli: compiere opere buone è farsi portare da Gesù; Gesù glorifica il Padre facendo la Sua volontà e noi, a nostra volta, come dice Giovanni al cap. 15, possiamo glorificare il Padre portando molto frutto e diventando discepoli di Gesù.

 

 

Isaia 58,7-10

Così dice il Signore: 7 «Spezza il tuo pane con l’affamato,| introduci in casa i miseri, senza tetto,| vesti chi è nudo,| senza distogliere gli occhi dalla tua gente.

8 Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,| la tua ferita si rimarginerà presto.| Davanti a te camminerà la tua giustizia,| la gloria del Signore ti seguirà.

9 Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà;| implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi! ”.| Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,| il puntare il dito e il parlare empio,| 10 se offrirai il pane all’affamato,| se sazierai chi è digiuno,| allora brillerà fra le tenebre la tua luce,| la tua tenebra sarà come il meriggio.

 

1) La scorsa domenica ci era presentato il popolo di Israele come un popolo reso umile e povero dall’opera di Dio che ha scelto la povertà per ricolmarla della sua ricchezza; oggi questi “poveri prediletti” sono chiamati a prendersi cura dell’indigenza di ogni uomo perché tutti siano partecipi del dono di Dio.

2) Spezza il tuo pane con l’affamato: pane è una parola preziosa, che il vangelo ci presenta come pane che discende dal cielo e dà la vita al mondo (Gv 6,33).

3) Introduci nella tua casa i miseri: la casa ci ricorda la dimora di Dio, in cui tutti veniamo edificati per mezzo dello Spirito (cfr. Ef 2,22).

4) Vesti chi è nudo: ci rammenta che noi per primi siamo stati battezzati in Cristo e rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3,27).

5) …senza distogliere gli occhi dalla tua gente (lett. la LXX direbbe: e di quelli della casa del tuo seme non avere noncuranza; mentre la Vulgata traduce: la tua carne non disprezzare oppure non guardare dall’alto); in questo versetto siamo invitati a condividere il dono del Signore con chi ancora non l’ha ricevuto e ad allargare la cura, come per la nostra realtà familiare più vicina, alla famiglia umana, rendendola parte di noi,  nostra carne.

6) Allora eromperà come l’aurora la tua luce (lett. la tua cicatrizzazione spunterà, o sorgerà, presto): nella celebrazione della carità siamo noi ad essere guariti dalle nostre infermità e proprio queste potranno diventare luoghi fecondi in cui germina la vita. La giustizia che ci precederà e la gloria che ci seguirà sarà l’azione potente del Signore che opera in noi e per noi.

7) allora lo invocherai: questo versetto esprime il nostro costante bisogno di Dio e il suo farsi presente a noi che lo chiamiamo, perché continuamente ci liberi dall’oppressione (lett. catena) e dalle nostre accuse e parole empie.

8) allora brillerà fra le tenebre la tua luce: sorgerà dalle tenebre la nostra luce, cioè la nostra conversione al Signore che ci salva.

 

 

1^ Corinti 2,1-5

1 Io, o fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. 2 Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.

3 Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; 4 e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5 perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

 

1) Anch’io fratelli: con questo inizio del capitolo siamo richiamati al brano precedente, di domenica scorsa, che si concludeva con nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio e chi si vanta si vanti nel Signore. Questo è confermato quando Paolo dice: quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Cristo (Gal 6,14) e, per quanto lo riguarda personalmente, di me stesso non mi vanterò fuorché delle mie debolezze (2Co 12,5).

2) Rinunciando a venire in mezzo ai Corinzi con sublimità di parola o di sapienza, Paolo annuncia loro la testimonianza (greco: martirion) di Dio (una variante ha mistero); questa parola indica il Vangelo, l’oggetto dell’annuncio, nel quale Dio stesso attesta chi Egli è e che cosa ha fatto per noi: la salvezza degli uomini attraverso la Pasqua di Gesù, il mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora… secondo il Vangelo che io annuncio e il messaggio di Gesù Cristo (Rm 16,25).

3) Gesù Cristo, e questi crocifisso: questa è tutta la sapienza e la conoscenza di Paolo, che lo assimila totalmente al suo Signore: per mezzo della croce… il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo (Gal 6,14) e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me (Gal 2,20). Del Cristo egli assume la debolezza come sorgente di una potenza e sapienza nuova: mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo, avendo sentito dallo stesso Signore: Ti basti la mia grazia! La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza (2Co 12,9). Per questo al v. 3 dice: venni a voi in debolezza.

4) Venni… con molto timore e trepidazione: questi due termini sono accoppiati nel Nuovo Testamento e accompagnano la consapevolezza del niente della creatura davanti al manifestarsi della potenza di Dio. È l’atteggiamento del ladrone buono sulla croce: neanche tu hai timore di Dio - dice all’altro che insulta Gesù crocifisso (cfr. Lc 23,40-43) - ed è l’atteggiamento di Paolo, che va in mezzo ai Corinzi consapevole della sua inadeguatezza davanti al mistero di Cristo, ma confidando pienamente nel fatto che tutto posso in Colui che mi dà forza (Fil 4,13).

5) e il mio messaggio (in greco kerigma, predicazione): infatti è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione (1Co 1,21); Paolo può compiere la sua predicazione perché Dio mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i gentili (2Tm 4,17).

6) perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio: la tensione di Paolo è di scomparire, per fare posto alla manifestazione dello Spirito e della sua potenza (cfr. 1Ts 1,5: il nostro vangelo non si è diffuso tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e Spirito Santo).

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

La linea sapienziale che emerge dalle Scritture di questa domenica è innanzi tutto l'affermazione che ognuno comunica non solo e non tanto una conoscenza quanto un'esperienza. Esperienza, si intende, positiva: per cui si può precisare che possiamo comunicare e partecipare solo ciò che abbiamo a nostra volta ricevuto. Ci troviamo dunque davanti a una concezione della vita che intrecccia profondamente povertà, dono e comunione: in sé la vita di ciascuno è povera, e, abbandonato a sé stesso, ciascuno può a malapena, e tra molte ansie e tentazioni di aggressività e furto, bastare a sé stesso. La nostra esperienza è, però, che a questa vita povera viene "comunicato" un dono, una molteplicità di doni: contributi di ogni tipo che arricchiscono la nostra vita. Tutto ciò apre alla possibilità, e, grazie a Dio, al desiderio, di comunicare a nostra volta. Così, per il dono ricevuto, l'esistenza può uscire dalla prigione della sua ansiosa solitudine per stringere relazioni con altri, attraverso il dono e nel dono ricevuto. Tale comunicazione attraverso il dono e nel dono diventa dunque comunicazione di sè. Dice il profeta: "spezza il tuo pane con l'affamato", ma quello che Gesù afferma nel Vangelo - e che l'Apostolo pienamente conferma ricordando il coinvolgimento della sua persona nell'opera svolta presso i Corinzi - ci dice che il pane che possiamo spezzare con l'affamato - pane che abbiamo solo perché l'abbiamo a nostra volta ricevuto - è il "tuo" pane, cioè il "nostro" pane: tanto nostro, da essere di fatto un "noi stessi" che noi abbiamo il privilegio di spezzare con il fratello.

Se ne può concludere che la sapienza ebraico-cristiana ha scoperto e manifestato un "sistema" straordinario di comunicazione - comunione, che consente di far emergere una ricchezza straordinaria da una condizione di povertà personale che riguarda ciascuno di noi. Ognuno resta povero, ma può ricevere e comunicare un dono: questa comunicazione del dono genera una ricchezza incommensurabile: le espressioni "sale dalla terra" e "luce del mondo" attribuite a "poveri Cristi" ne sono l'evidente conferma.