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SANTISSIMA TRINITÀ (ANNO A)

 

Giovanni 3,16-18

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «16 Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.

17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

 

1) Dio ha tanto amato il mondo: la prima e fondamentale rivelazione che Gesù dà di Dio è che Egli ama il mondo; infatti essenzialmente Dio è amore (1Gv 4,16). Questa rivelazione è tanto più sorprendente, quanto più la si misura con il fatto che il destinatario di tale amore, il mondo, è una realtà del tutto avversa a Dio (cfr. Gv 1,10: il mondo non lo riconobbe);

2) da dare il suo figlio unigenito: dopo aver detto che Dio ama il mondo, è importante la precisazione su che cosa voglia dire, nella mente di Dio, “amare”, espressione tanto usata quanto equivoca; l’amore di Dio sta nel “dare” il suo figlio, cioè quanto gli è più caro, la sua stessa vita; per Dio amare è dare la vita (cfr. 1Gv 4,9: In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché noi avessimo la vita per lui).

3) Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui: la seconda fondamentale rivelazione che Gesù dà di Dio è quella di un Dio non giudice severo, ma padre misericordioso. Cfr. Gv 5,22: il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (del resto neanche il Figlio giudica; cfr. Gv 8,15: voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno). Il giudizio ormai è sospeso e per questo neanche gli uomini hanno il diritto di giudicarsi a vicenda: non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e vi sarà perdonato (Lc 6,37).

4) Chi crede in lui non è condannato (lett.: giudicato): chi crede sfugge al giudizio di Dio.

 

 

Esodo 34,4-6.8-9

4 In quei giorni, Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.

5 Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. 6 Il Signore passò davanti a lui proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà»

8 Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. 9 Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».

 

1) Le due tavole di pietra: Mosè aveva già ricevuto dal Signore le tavole della legge, scritte da lui stesso (Es 24,12. 31,18), ma le aveva spezzate dopo il peccato del vitello d'oro (Es 32,19). Il Signore però vuole lasciare al suo popolo, che ha perdonato, il dono della sua Parola e la scrive di nuovo su  altre due tavole.

2) Mosè salì (v. 4)… il Signore scese (v. 5): Mosè non può salire se non è chiamato e non può incontrarsi col Signore se anche Lui non scende. Questo doppio movimento, provocato dalla volontà amorosa di Dio, conduce alla comunione piena di Dio con l'uomo.

3) Proclamò il nome del Signore: dopo il peccato e il perdono, la rivelazione del Signore è ancora più grande: è Lui stesso che proclama il suo nome e, secondo il significato profondo che ha per gli Ebrei questo evento, si consegna pienamente, attraverso Mosè, a tutto il suo popolo.

4) Dio misericordioso e pietoso: è questo il nome di Dio, che rivela l'intimità del suo cuore che ama con amore generante e "viscerale"; infatti il termine "misericordioso" in ebraico si riallaccia a parole che indicano le viscere e l'utero materno.

5) Cammini il Signore in mezzo a noi: la beatitudine e la forza del popolo sta nel fatto che Dio sia sempre in mezzo a lui, guidandolo e partecipando a tutta la sua vita; cfr. Zac 2,14: gioisci, esulta figlia di Sion, perché ecco io vengo ad abitare in mezzo a te.

6) sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona (lett.: perché è un popolo e tu perdona): è proprio il peccato del popolo e il suo non saper convertirsi che ha bisogno della presenza del Signore e del suo perdono, ed è proprio questo peccato e questo bisogno che attira Dio verso il suo popolo.

7) Fà di noi la tua eredità: è però anche scritto: Io sarò la tua eredità (Ez 44,28) e Il Signore è mia parte di eredità e mio calice; è magnifica la mia eredità (Sal 15,5-6). È un bellissimo scambio nuziale: noi siamo l'eredità di Dio e Lui è la nostra eredità.

 

 

2^ Corinzi 13,11-13

11 Fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi.

12 Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.

13 La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

 

1) Per il resto, fratelli: sono le ultime parole, consegnate alla storia, che Paolo rivolge alla Chiesa di Corinto. Sono altissimi il livello e la speranza di questo saluto di commiato, nonostante la problematicità del rapporto dell’apostolo con questa Chiesa (vedi ad es. il c.13): peccati e problemi non arrestano il dono di Dio, anzi…

2) Siate lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace: sono cinque verbi preziosi e potenti; il primo (lett.: gioite) è il verbo del saluto dell’angelo a Maria; il secondo, ricorrente soprattutto nei salmi con vari significati, ha in genere come soggetto che agisce Dio (creare, rendere perfetto, preparare, rendere fecondo, mettere in ordine); quindi, in questo contesto, induce chi ascolta a lasciarsi “lavorare da Dio”; il terzo, che corrisponde all’azione del Paraclito (avvocato e consolatore), crea docilità verso l’azione esortante e consolante dello Spirito; il quarto (lett. abbiate il medesimo pensiero) pone Cristo, “l’unico necessario”, come soggetto ed oggetto del pensiero; il quinto (lett.: rappacificate oppure abbiate pace) dona in Cristo pace con Dio, con i fratelli e con se stessi.

3) Il Dio dell’amore e della pace: è un bel nome di Dio. Dio dona amore e pace perché lui stesso è l’Amore e la Pace. Spezzare la comunione fraterna rattrista lo Spirito e lo fa fuggire; la pace tra gli uomini, al contrario, è dono dello Spirito ed alimenta la sua presenza.

4) Salutatevi a vicenda… vi salutano: “l’Annunciazione” del vangelo genera la “Salutazione” o “Visitazione” fraterna.

5) Il bacio santo: è forse il gesto liturgico dello scambio di pace? Quel bacio della comunione con Dio, che ogni anima chiede con le parole del Cantico (mi baci con i baci della sua bocca Ct 1,2) è ora donato e affidato con castità ad ogni persona nei confronti dell’altro.

6) La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo: questa è la Trinità Santa che celebriamo e adoriamo, il Signore Gesù, “l’Amore Amato”, che è per noi la porta d’accesso alla grazia del Dio trino ed unico, Dio Padre, “l’Amore Amante”, e lo Spirito, che è “Comunione d’Amore”.

7) Siano con tutti voi: siano non compare; si può anzi supporre un sottinteso sono; quindi, più fortemente che di un augurio, si può trattare dell’annuncio di una realtà di fatto, perché con il dono dello Spirito tutto Dio e il tutto di Dio dimorano in ognuno e in tutti, fatti “uno” nell’agape fraterna.

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

L’alleanza tra “il trono e l’altare” accompagna la storia dei popoli ,delle civiltà e delle religioni; e anche quando tra trono e altare si verifica una lotta “frontale”, siamo sempre nell'orizzonte di una “competizione” che in fine tende a una gestione del potere dove entrambi si considerano funzionali l’uno all’altro. Molte volte si dà una solenne proclamazione di “laicità”, ma bisogna dire che si tratta o di situazioni molto passeggere o di situazioni “mascherate”, dove di fatto il potere politico si fa “garantire” e legittimare da valori e interpretazioni della realtà ampiamente condivise. La religione è dunque molto spesso la “sacralizzazione” della politica: a un dio monarca corrisponde un capo monarca; l’ordine etico-spirituale e l’ordine della società tendono a coincidere; e quando un potere si lamenta dell’altro è nella prospettiva di ritrovare e rafforzare la relazione e la concordia.

Tutto questo non è possibile per la fede e la sapienza ebraico-cristiana, anche se sarebbe fin troppo facile certificare che è stata proprio questa, soprattutto nello spazio cristiano, a far nascere le più salde connessioni tra i due poteri; e sarebbe non difficile evidenziare come questo si dia anche in un tempo come il nostro dove le affermazioni di laicità si sprecano.

È proprio il mistero trinitario, presente in profezia nella Prima Alleanza, e compiutamente svelato in Gesù Cristo, a stabilire l'impossibilità dell'intesa; e come splendidamente ci mostra il tratto evangelico di Giovanni che oggi celebriamo, ciò non è dovuto a un “odio” verso il mondo o a una proposta “religiosa” di evasione dal tempo e dal creato. Tutt’al contrario: Dio ama questo povero mondo di Erode e di Pilato, degli scribi e dei farisei, dei sacerdoti e degli anziani, e lo ama talmente da stabilire la sua “morte” per amore di esso. Ama e salva il mondo: non lo abbandona, non lo condanna, ma vuole salvarlo. È interventista sul mondo, ne contesta incessantemente gli errori, ma soprattutto lo costringe a liberarsi da ogni tentazione di sacralizzazione o di autodivinizzazione. Gli chiede di relativizzarsi e di "laicizzarsi" per riprendere incessantemente il cammino verso l’unica vera patria: la Casa del Padre.

Siccome Dio non è un’entità astratta e lontana, semplicemente depositaria di un’immutabile perfezione, simbolo di un dominio fisso e perpetuo, ma è l’eterno amore del Padre, del figlio e dello Spirito Santo, creatore e Signore della storia. Egli non agisce attraverso le strutture del potere mondano che, per quanto buone, sono in ogni caso sempre relative e passeggere. E non agisce secondo la rigidità di una concettualizzazione immobile, ma “conduce alla verità tutta intera” in un processo incessante di elargizione del Dono da parte sua, e di conversione e penitenza festosa da parte nostra. Le divinità delle religioni stanno sedute immobili sui loro troni; il nostro Signore cammina con il suo popolo e con l’intera umanità verso quella “fine della storia” che ci ha mostrato e ha incominciato a regalarci nel divino splendore del Vangelo, che è Spirito e Vita.