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II domenica del tempo ordinario (ANNO A)

 

 

Gv 1,29-34

29 In quel tempo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele”.

32 Giovanni rese testimonianza dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. 34 E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.

 

1) Il giorno dopo: viene usata questa espressione anche più avanti, ai versetti 35 e 43, probabilmente per scandire in una settimana, come nel libro della Genesi, gli episodi dell’inizio della nuova creazione, che comincia con il manifestarsi al mondo di Gesù;

2) vedendo Gesù venire verso di lui. Gesù era per Giovanni colui che viene dietro a me (v. 27) e ora viene verso di lui; è successo qualcosa di nuovo, che cambia l’ordine dell’attesa e il naturale compiersi degli avvenimenti. Giovanni Battista sembra rimanere meravigliato di questo incontro, che fa ripensare all’incontro delle loro mamme in attesa, nella casa di Zaccaria ed Elisabetta; è un momento che scioglie l’incertezza e l’ansia dell’attesa, nella consapevolezza della presenza di Gesù, che era stato tanto desiderato.

3) Ecco l’agnello Dio: Giovanni inconsapevolmente profetizza la morte in croce di Gesù; egli ha in mente i canti del servo di Isaia, che, ripieno di Spirito Santo, avrebbe ricondotto Israele alla conoscenza di Dio e che parlano delle sofferenze del servo del Signore come quelle di un agnello condotto muto al macello.

4) il peccato del mondo è la lontananza da Dio, la mancanza di fiducia nella sua presenza accanto a noi. Gesù, mostrandosi, toglie ogni dubbio e tristezza e ci dona la sicurezza di non essere abbandonati da Dio.

5) Ecco colui… perché era prima di me: è un chiaro riferimento al Prologo di Giovanni; Gesù è il Verbo di Dio, che era in principio presso Dio.

6) Io non lo conoscevo: anche a Giovanni Battista in quel preciso momento viene rivelato che Gesù è il Messia; così egli capisce di essere venuto a battezzare nel Giordano perché Gesù fosse rivelato ad Israele. La testimonianza di Giovanni diventa dunque vera in quel momento, quando Gesù gli si fa vicino. Is 49,3.5-6

 

 

Is 49,3,5-6

3 Il Signore mi ha detto: “Mio servo tu sei, Israele,| sul quale manifesterò la mia gloria”.

5 il Signore| che mi ha plasmato suo servo dal seno materno| per ricondurre a lui Giacobbe| e a lui riunire Israele,| - poiché ero stato stimato dal Signore| e Dio era stato la mia forza -| 6 mi disse: “È troppo poco che tu sia mio servo| per restaurare le tribù di Giacobbe| e ricondurre i superstiti di Israele.| Io ti renderò luce delle nazioni| perché porti la mia salvezza| fino all’estremità della terra”.

 

1) Mio servo tu sei: in continuità con la liturgia della scorsa domenica la Chiesa ci propone oggi la lettura del secondo canto del servo; il possessivo indica l’intimità e ci rimanda direttamente alla rivelazione evangelica, in cui tale intimità viene pienamente svelata: Tu sei il Figlio mio prediletto (Mc 1,11).

2) Sul quale manifesterò la mia gloria (lett.: In te Io mi glorificherò): la missione del servo viene esplicitata nei versetti seguenti, ma il fine primo della sua vocazione, e di ogni nostra chiamata, è qui affermato essere la manifestazione della gloria di Dio (cfr. Gv 12,27-28:  per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!).

3) Invano ho faticato (lett.: verso il vuoto ho faticato): cfr. Fil 2,7 Cristo Gesù spogliò (lett.: svuotò) se stesso.

4) Per nulla e invano ho consumato le mie forze (verso il caos e il niente ho consumato la mia forza): agli occhi dello stesso servo la sua opera è un fallimento, non vi è in essa nulla di gloriosamente mondano.

5) Il mio giudizio è con il Signore: il servo non vede alcun effetto della sua opera e la sua speranza è posta solo nel suo Dio. Così, reciprocamente, al v. 5 - poiché ero stato stimato dal Signore e Dio era stato la mia forza - dove Colui che lo ha chiamato è Colui che ne vede la gloria e che gli dà la forza di adempiere l’opera (lett.: poiché io sarò glorificato agli occhi del Signore e il mio Dio sarà la mia forza).

6) Dal seno materno: la vocazione del seno della madre (cfr. Ger 1,5 e Sal 109,3) ci reimmerge nelle feste appena trascorse e ci ricorda la predilezione di Dio per i suoi piccoli.

7) Per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele (lett.: per far sorgere le tribù di Giacobbe e i dispersi di Israele far ritornare): l’opera del servo è innanzitutto in favore di Israele (cfr. Mt 15,24 Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele). I due verbi far sorgere e far tornare hanno sempre anche una valenza spirituale: convertire il cuore di Israele significa donargli una vita nuova.

8) E’ troppo poco… io ti renderò luce delle nazioni: la salvezza non è solo per Israele; anzi proprio l’elezione di Israele è una promessa di salvezza per l’umanità intera; cfr. Lc 2,32 luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele.

9) Fino all’estremità della terra: la missione del servo è dunque universale. Cfr. Gv 11,51-52 Gesù doveva morire… non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.

 

 

1Cor 1,1-3

1 Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, 2 alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: 3 grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

 

1) Paolo, che ha trascorso a Corinto 18 mesi in casa di Aquila e Priscilla, dopo aver ripreso i suoi viaggi, durante il soggiorno a Efeso scrive questa lettera alla comunità di Corinto.

2) Paolo chiamato apostolo: Paolo si presenta come apostolo = inviato di Dio, è questa la sua connotazione più vera. Dopo la conversione Paolo sottolinea in molte occasioni il fatto di essere mandato per volontà di Dio alle Genti. Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunciando la fede (Gal 1,23); allora il Signore mi disse: vai, perché io ti manderò lontano, tra i pagani (At 22,21); per mezzo di Gesù Cristo… abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti (Rm 1,5).

3) Il fratello Sostene: Sostene è un cristiano, fratello rappresenta la corretta relazione tra i cristiani, che in Cristo Gesù sono tutti figli dell’unico padre, senza distinzioni di sesso razza e classi (cfr. Col 3,11); tutti gli altri da noi quindi sono i nostri fratelli; Dio ha regalato la fraternità universale, fraternità che tuttavia richiede di essere riconosciuta ed esplicitata.

4) alla chiesa… ai santificati in Gesù Cristo, ai chiamati santi: la parola chiesa ricorre 22 volte in 1^ Cor. La Chiesa, il popolo di Dio riunito, è formata da uomini che sono santificati in Cristo Gesù; è l’azione di Dio nel santificarli (cioè nel separarli per sé) e non una qualsiasi loro azione, a fare di questi uomini una chiesa. Sono santi nel senso che sono il popolo di Dio come era stato Israele: voi sarete per me una nazione santa (Es 19,6). Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati, nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (I Cor 6,11).

5) grazia… e pace:  pace è il tipico saluto ebraico (2Mac 1,1); grazia e pace sono doni che provengono da Dio, il Dio della pace (Rom 15, 33) e da Gesù: Dio vi ha chiamati alla pace (I Cor 7,15), ad essere in pace con Dio; giustificati per la fede noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore (Rom 5,1); egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo… per creare in se stesso, facendo la pace per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo (Ef 2,14).

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

Vorrei raccogliere tutta la mia attenzione sull’azione che l’Agnello di Dio viene a compiere. Innanzitutto mi sembra importante il significato di quel verbo “togliere”: non è un gesto magico! Né si può pensare di togliere semplicemente cacciando via o facendo cadere. C’è un significato preciso e obbligato: togliere vuol dire e implica un “prendere su”, “prendere via” e “portare” che dice tutta l’assunzione su di sé, da parte di questo Agnello, del carico e del peso del peccato del mondo. Il peccato del mondo è la solitudine, la divisione, la frantumazione del vincolo, l’essere a sé, il vivere per sé; è questo peccato, che potremmo dire dunque al singolare, come il peccato dei peccati o, in altro gergo, “la madre di tutti i peccati”. La creatura umana, sia per una sua misteriosa incompiutezza, sia per una tensione, ha in sé, come per una sua naturalità, il uso essere per l’altro e con l’altro. Ogni individuo è dunque nativamente un dramma che attende la sua risoluzione; questa risoluzione-liberazione non può che essere il toglimento della prigione della propria mortale solitudine.

Questo è il compito dell’Agnello di Dio: l’Agnello è il “totalmente dato” perché nessuno sia più solo. “Totalmente dato” implica quell’amore appassionato fino alla Passione che contraddice radicalmente la potenza mortale dei figli di Caino ed esalta ogni forma di dedizione che spinge a dedicare la vita e a donarla. L’Agnello è il creatore e il protagonista di una giustizia “ingiusta”. Nell’impero della solitudine prevale il diritto del più forte, e quindi la legge primordiale della foresta. Ad essa l’Agnello si oppone in modo singolare: non con la pretesa, che sarebbe illusione, di realizzare l’equità, ma assumendo su di sé ogni prevaricazione e quindi facendo scaturire la pace dalla sua totale mitezza davanti al carnefice: “contempleranno colui che hanno trafitto” (Zac 12,10).