1 Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.
2 Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
3 Fino a quando nell’anima mia addenserò pensieri,
tristezza nel mio cuore tutto il giorno?
Fino a quando su di me prevarrà il mio nemico?
4 Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte,
5 perché il mio nemico non dica: «L’ho vinto!»
e non esultino i miei avversari se io vacillo.
6 Ma io nella tua fedeltà ho confidato;
esulterà il mio cuore nella tua salvezza,
canterò al Signore, che mi ha beneficato.
Seleziona Pagina
Molte volte si invocano il Signore, la sua presenza e la sua opera di salvezza ci assale il nemico più forte di noi. Qui però è tutta la violenza del memico ad assalirci e il Signore ci lascia soli! Tutto il Salmo è dunque costruito sul ver.2 e sulla potenza angosciata di quel “fino a quando..?” che grida l’assolutà necessità che Egli non si dimentichi mai di noi e mai ci nasconda il suo volto perchè altrimenti siamo irrimediabilmente esposti all’assalto dei nostri stessi pensieri, alla tristezza del nostro cuore e al dominio del “nemico” sulla nostra persona e sulla nostra vita: così il ver.3. Quindi, i “fino a quando…” del ver.3 dipendono strettamente da quelli del ver.2! O il Signore ci guarda, ci risponde e conserva la luce ai nostri occhi, come ascoltiamo al ver.4, oppure noi inevitabimente precipitiamo preda dell’inimicizia che ci assale dal di dentro e dal di fuori di noi stessi.
Questa inimicizia ha un volto preciso: veniamo sorpresi dal “sonno della morte”. Qui mi sembra non si tratti tanto della morte fisica, ma di quell’angoscia di morte nella quale veniamo immersi se abbandonati a noi stessi. Penso al Getsemanni. Penso alla condizione dell’uomo della parabola di Luca 10, mezzo morto sulla strada che scende da Gerusalemme a Gerico: solo lo sguardo pietoso del misterioso Samaritano potrà salvarlo.
Il “ma” che apre il ver.6 viene dalla potenza di una fede più forte della sua stessa spogliazione. Una nuda fede che pur immersa nell’angoscia mortale “confida nella fedeltà di Dio”. Veramente il termine sarebbe non quello della “fedeltà” di Dio, ma della sua misericordia. Però si può ricordare che, nella Bibbia, fedeltà e misericordia sono accostati infinite volte tra loro. Fino al punto che la misericordia si rivela come la suprema “verità” di Dio. Allora il credente “esulterà” nella salvezza e “canterà” la lode di Dio “che lo ha beneficato”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Fino a quando…?”
Terribile se pensiamo che questa domanda posta millenni fa ancora oggi è attuale per ciascuno di noi, in ogni tempo e in ogni luogo.
E’ un invito alla Speranza, alla Fede e alla Carità da mostrare verso i nostri “nemici” innanzi tutto…perchè altrimenti…”che merito ne avremo”?
Io chiedo a Dio di non mostrarmi la fine di questo tempo di angoscia, di non svelarmi il suo volto se non sono pronta, di non anticipare nulla di ciò che è la sua volontà.
Concedi, o Signore, alla tua serva di continuare a rimanere salda e fedele, nell’Amore.
Che forza in quel “fino a quando” ripetuto e ripetuto nei primi versetti! L’animo è oppresso…, il Signore pare nascondere il suo volto…, e il nemico può gridare a gran voce: “Ho vinto!”(v.5). Ma ecco che il credente non demorde: Dio è la luce dei suoi occhi, l’unica certezza di fronte alla sconfitta e alla morte. E il salmo può chiudersi con una progressione impressionante: dalla fiducia perseverante alla grande gioia, dalla gioia alla esplosione nel canto di ringraziamento e di esultanza: “Ma io nella tua fedeltà ho confidato;
esulterà il mio cuore nella tua salvezza,/
canterò al Signore, che mi ha beneficato”(v.6).
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
Fino a quando nell’anima mia addenserò pensieri,
tristezza nel mio cuore tutto il giorno?
Solo la luce del volto di Dio dissipa la tenebra dell’angoscia esistenziale. Quanti vedranno il volto di Dio?
L’ultima parte del salmo ci riporta alla realtà:la salvezza à la fede, la parola di Dio è conforto e consolazione: è la gioa esistenziale.
Giovanni Pietragalla