1 Canto delle salite. Di Davide.
A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
2 Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni,
come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.
3 Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
4 troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.

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Molte domande nascono dentro di me davanti a questo Salmo. Per esempio: che cosa significa la distinzione servi-schiava e padroni-padrona? Perchè “la mano” dei padroni e della padrona? Non trovo risposte, e quindi non sono in grado di evidenziare significati particolari. Perciò mi limito ad indicare quello che nella preghiera di oggi mi ha più afferrato e commosso. Innanzi tutto gli occhi: “…i miei occhi…gli occhi dei servi…gli occhi di una schiava…i nostri occhi”. Il compito, la diaconia, il servizio, mio, dei servi, della serva e di noi tutti sono questi nostri “occhi al Signore nostro Dio”. Una direzione dello sguardo, con una nota di perseveranza, di fedeltà nel tempo: “…finchè..”(ver.2). Non è una diaconia che si attua nel fare qualcosa, ma nel perseverare in quello sguardo verso Dio, “finchè abbia pietà di noi”. Proviamo a cogliere qualche luce. Mi sembra di primario rilievo lo sguardo che sembra sollevarsi da una situazione che alla fine mostrerà tutta la sua negatività – “scherno dei gaudenti…disprezzo dei superbi” – per attendere con fermezza (e come tale questo sguardo porta con sè anche una nota di supplica e di sollecitazione nei confronti di Dio?) l’intervento salvifico del Signore. Questo sguardo indica insieme tante cose: l’impossibilità-incapacità di affrontare e risolvere la situazione da parte di chi vi è immerso; la notizia che ci sia un’altra direzione dalla quale attendersi la soluzione; l’intreccio tra il proprio totale coinvolgimento nel problema e l’ipotesi di un’alternativa positiva. Per questi servi e serve, per noi, proprio perchè servi, questi occhi rivolti al Signore nostro Dio sembrano essere la sostanza della nostra diaconia. Una diaconia della fede e della speranza. Ciò che si attende è ben chiaro: “finchè abbia pietà di noi”. Siamo nell’orizzonte della compassione e della misericordia di Dio. Mi pare si debba dire che tutto questo si verifica sia che si tratti di un problema etico, come ad esempio che Dio stesso sia l’offeso dal quale aspettiamo la misericordia; oppure che si tratti di un frangente storico negativo dal quale non sappiamo nè possiamo uscire con le nostre forze; o che sia una sventura provocata da fenomeni naturali, quali la malattia, o un disastro ecologico; oppure che ci sia un “nemico” molto evidente e molto potente che ci colpisce o ci imprigiona….Sembra quindi di poter concludere che questo sguardo di attesa della misericordia divina può riguardare ogni situazione ferita, colpevole o incolpevole… Quel “troppo” del ver.4 unito alla ironica drammaticità del termine “sazi” esprime con efficacia un problema o una situazione di esasperazione che sollecita l’intervento rapido del Signore. Mi chiedo se nei “gaudenti” si possa cogliere la violenza incosciente e crudele di un privilegio mondano, e nei “superbi” si possa cogliere la pretesa superiorità farisaica di chi si pensa capace e meritevole di una giustizia conquistata con le proprie forze. Tutto il rovescio della condizione di quei poverini che sono sazi dello scherno e del disprezzo in cui sono immersi. Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni