6 Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. 7 Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. 8 Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9 A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. 10 Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. 11 Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.

Seleziona Pagina
E’ potente, al ver.6, l’intreccio che i due termini, deboli ed empi, esprimono! L’empio che essendo tale, è anche debole, cioè nell’impossibilità di uscire dalla sua empietà, in quanto è “debole”, infermo, fragile, non è nella condizione di “doversi ravvedere”, perché neppure lo può! Egli può solo “essere salvato”! Ed è proprio qui che si esprime il mistero dell’amore di Dio. Dio che non è solo quello che premia il giusto e punisce il colpevole – anzi, proprio Egli non è così! – ma si rivela come Colui che “morì per gli empi”(ver.6), Colui che “mentre eravamo ancora peccatori, è morto per noi”(ver.8). In questo, in Gesù, “Dio dimostra il suo amore per noi”. Nulla c’è che dica una nostra possibilità, una nostra dote o un nostro merito, “prima” della morte di Gesù per noi! La sua morte è veramente il principio della nostra vita!
“A maggior ragione ora”! La morte di Gesù per noi non è episodio isolato e un nostro episodico e puntuale incontro con la sua morte per noi, un evento passato. Tale morte d’amore ci accompagna in ogni istante e in ogni frangente della nostra vita. Se ora siamo nella condizione di “giustificati nel suo sangue”, ancora e sempre di più sperimentiamo il nostro essere “salvati dall’ira per mezzo di lui”(ver.9). In termini sempre più profondi sperimentiamo la potenza della nostra comunione con la sua morte, e ora, quindi, con la sua risurrezione, con “la sua vita”. La risurrezione di Gesù è dunque la possibilità di sperimentare per sempre la potenza della sua morte d’amore per noi.
Ora, dunque possiamo “vantarci” (così era reso il termine che qui, al ver.11, è presente come “gloriarsi”), perché non ci vantiamo per una qualche presunzione di giustizia nostra, come era quel “vantarsi della Legge” di cui ascoltavamo in Romani 2,23. Ora veramente possiamo e dobbiamo vantarci di ciò che assolutamente solo riceviamo dall’amore di Dio. E che tale rimane sempre, se sempre consideriamo tutto come dono suo. Mi sembra che ora il “peccato” sia sempre e solo quel volersi riappropriare di quello che solo la sua morte d’amore per noi ci rende possibile essere e avere. Dunque: noi viviamo della Pasqua di Gesù!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.