Omelia XXI domenica TO C a S. Andrea ore 11.m4a

Descrizione
Eppure è importante interrogarci sulla salvezza. Gesù si chiama così perché significa “Dio salva”. È venuto proprio per questo. Io, se fossi lì, forse gli chiederei: “Signore, io mi salvo? Tu mi salvi? Vieni a salvarmi?”. Ma il Vangelo riporta la domanda in quel modo, e Gesù risponde con parole dure: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”.
La porta chiusa e la sorpresa
Gesù avverte che molti cercheranno di entrare ma non ce la faranno. Quando il padrone chiuderà la porta, quelli rimasti fuori busseranno, implorando: “Signore, aprici”. E lui risponderà: “Non so di dove siete”. È sconvolgente: non li riconosce. Eppure loro insistono: “Abbiamo mangiato e bevuto con te, tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma lui ripete: “Non so di dove siete, allontanatevi da me”.
Dentro, invece, ci sarà Abramo, Isacco, Giacobbe, i profeti, e tanti che vengono da Oriente e Occidente. Persone che forse non immaginavano di trovarsi lì.
Non è questione di orari
Non si tratta di arrivare in tempo. Anche all’ultimo momento si può entrare: pensiamo al ladrone in croce, che con una sola invocazione ha trovato la porta spalancata: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Non è una questione di cronologia, ma di atteggiamento.
Quelli rimasti fuori avevano dato per scontato di essere dentro. Si sentivano a posto, avevano partecipato alle celebrazioni, forse si erano comportati bene. Ma Gesù li chiama “operatori di ingiustizia”. Perché? Forse perché non hanno fatto lo sforzo di cui parla Gesù: non uno sforzo di perfezione morale o di rigidità, ma di desiderio, di bisogno.
Che sforzo ci chiede il Signore?
Lo sforzo di cui parla Gesù non è un accumulo di meriti o di osservanze. È qualcosa di più profondo: passione, desiderio, bisogno di Lui. Il ladrone sulla croce aveva questo bisogno.
Mi è venuto in mente il film Inside Out che abbiamo visto ieri sera, all’aperto qui nel parco. Racconta di una bambina che deve crescere suo malgrado, affrontando il trasloco, la perdita degli amici, la confusione interiore. È in balia dei sentimenti: gioia, rabbia, paura, tristezza… tutto mescolato. A un certo punto crolla, e lì avviene qualcosa di decisivo: piange, esprime la sua fragilità, chiede aiuto ai genitori. Quel bisogno la salva.
Ecco lo sforzo: non avere paura della nostra tristezza, del nostro bisogno, ma portarli al Signore. Se andiamo con i compiti fatti, con la pretesa, la porta resta chiusa. Se andiamo con il desiderio di incontrarlo, con la nostra piccolezza e incapacità, la porta la troviamo aperta.
La correzione del Padre
La Lettera agli Ebrei ci ricorda che Dio ci corregge come un padre con il figlio. Non è una correzione punitiva, ma cura. Non dobbiamo disprezzarla né considerarla poca cosa: è il segno che siamo figli amati. Lui vuole prenderci per mano, metterci sulla strada della felicità.
Il banchetto e la comunione
Quando entreremo nel banchetto, sarà meraviglioso: troveremo gente di ogni provenienza, anche chi non conosceva Dio. Isaia dice che arriveranno popoli lontani, che porteranno i figli di Israele come offerta al Signore. E tra quei popoli pagani, Dio sceglierà persino sacerdoti. È incredibile!
Entrare non è fare presenza passiva: non è andare a dire “Signore, noi ci mangiamo il sandwich, tu sii presente, assisti e basta”. È partecipare con tutto il nostro vissuto: sofferenze, gioie, desideri. La prossima domenica il Vangelo parlerà della posizione a tavola: un segno che la piccolezza e il bisogno devono restare vivi.
Perché siamo qui oggi
Oggi siamo qui non con i compiti perfetti, ma con il nostro bisogno. Veniamo per ascoltare la Parola, per essere consolati, incoraggiati, rimessi in cammino. Gesù è sempre con noi, ci invita al suo banchetto, non per rimproverarci, ma per darci vita eterna.

