27 Gli Israeliti dissero a Mosè: «Ecco, moriamo, siamo perduti, siamo tutti perduti! 28 Chiunque si accosta alla Dimora del Signore muore; dovremo morire tutti?».
1 Il Signore disse ad Aronne: «Tu, i tuoi figli e la casa di tuo padre con te porterete il peso delle colpe commesse nel santuario; tu e i tuoi figli con te porterete il peso delle colpe commesse nell’esercizio del vostro sacerdozio. 2 Anche i tuoi fratelli, la tribù di Levi, la tribù di tuo padre, farai accostare a te, perché si aggiungano a te e ti assistano quando tu e i tuoi figli con te sarete davanti alla tenda della Testimonianza. 3 Essi staranno al tuo servizio e al servizio di tutta la tenda; soltanto non si accosteranno agli arredi del santuario né all’altare, perché non moriate né loro né voi. 4 Essi si aggiungeranno a te e presteranno servizio alla tenda del convegno per tutto il servizio della tenda, e nessun profano si accosterà a voi. 5 Voi sarete addetti alla custodia del santuario e dell’altare, e non vi sarà più ira contro gli Israeliti. 6 Quanto a me, ecco, io ho preso i vostri fratelli, i leviti, tra gli Israeliti; dati al Signore, essi sono resi in dono a voi, per prestare servizio nella tenda del convegno. 7 Tu e i tuoi figli con te eserciterete il vostro sacerdozio per tutto ciò che riguarda l’altare e ciò che è oltre il velo, e presterete il vostro servizio. Io vi do l’esercizio del sacerdozio come un dono. Il profano che si accosterà sarà messo a morte».
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Nelle ore della preghiera personale e comunitaria è cresciuta dentro di me la rilevanza e la provocazione della domanda che si pone ai vers.27-28: “Ecco, moriamo, siamo perduti, siamo tutti perduti!…dovremo morire tutti?”. Siamo davanti alla grande domanda che si pone ad ogni esistenza umana, ben al di là della specificità della vicenda ricordata dal testo dei Numeri. Ma che nel Libro dei Numeri si pone come a partire dal luogo più “adatto” perchè la domanda stessa sia posta. E’ domanda che il mondo tenta di non porsi troppo, nè troppo spesso. E’ domanda che sembra avere davanti un inevitabile “sì”. E’ domanda che si pone davanti al credente come al cuore della sua esperienza. Per noi la tematizzazione forte e continua della morte è cosa congrua e giusta, ed esprime efficacemente anche la “responsabilità” del credente verso tutta l’umanità. E’ domanda che in particolare ai monaci si pone in alcuni passaggi della vita come prova estremamente ardua. E’ con questo animo che provo a dire qualcosa del testo di oggi.
Mi chiedo innanzi tutto con voi quale collocazione dare a questa tribù speciale dove sacerdoti e leviti sono raccolti per celebrare il loro compito nel popolo di Dio. Mi sembra decisamente sbagliata una lettura “clericale” che considerasse queste parole come rivolte a dei “ministri” del popolo del Signore. Penso sia più vero e fecondo che ognuno di noi si senta partecipe di quanto viene detto, perchè tutti i membri della Chiesa sono parte di un popolo tutto sacerdotale. Qualunque sia la nostra condizione , la nostra età, la nostra cultura, il nostro lavoro….siamo tutti “leviti”, consacrati per questa liturgìa nella “Tenda del Convegno”, cioè in quel punto dove Dio e l’umanità si incontrano e si uniscono, Tenda che quindi per noi è il Signore Gesù! La vita del credente è tutta consacrata e dedicata a questa “Liturgia” del Cristo, nel senso che ognuno e tutti insieme siamo chiamati a raccogliere tutta la nostra esistenza nel grande atto liturgico della Pasqua di Gesù.
Ed è qui che noi siamo chiamati a dare la nostra risposta alla domanda posta all’inizio del nostro brano circa la comune sorte di tutti i mortali. Ma la risposta è necessariamente più articolata , infinitamente più profonda proprio perchè noi siamo dentro a questa Liturgia della Tenda che i nostri Padri ebrei hanno preparato e profetizzato. Osserviamo qualche particolare. Il ver.1 parla del portare il peso delle colpe: questo è certamente vero proprio in riferimento al sacrificio di Gesù e alla nostra partecipazione a questo sacrificio.
Ma inevitabilmente si pone per noi anche il quesito supremo circa la morte. Certamente quindi bisogna dire che il “servizio alla tenda del convegno”(ver.4), la “custodia del santuario e dell’altare”(ver.5) sono l’affermazione di una diaconìa segnata dal dono di sè, dall’offerta della vita. Certo, non si muore più! Da Gesù in poi si dà la vita! E questo è il nome nuovo della morte, la speranza meravigliosa di una morte che ha assunto i contenuti e il linguaggio dell’amore.
I Leviti prestano il loro servizio, e a questo sono riservati, per il bene e la salvezza di tutto il popolo. E questo popolo è, in Gesù, l’intera umanità! La Chiesa esercita quindi un ministero di portata universale. La Liturgia non è separata dalla storia me ne è il nuovo grembo, la nuova matrice. Le Parole e i gesti, ma anche tutta la vita dei cristiani dovrebbe essere epifania e paradigma della speranza nuova che Dio in Gesù ha regalato e vuole rivelare all’intera umanità. La vita cristiana, in tutta la sua semplicità e modestia, in ogni discepolo di Gesù come nell’intera comunità credente è tutta chiamata ad essere quella Tenda dove Dio chiama a convegno l’umanità intera per il grande banchetto della Pace per le Nozze del Figlio.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.