1 State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 2 Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3 Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4 perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
5 E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6 Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
7 Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
E’ forse opportuno soffermarci un momento sull’espressione italiana “praticare la giustizia”(ver.1) che vuole dirci non solo e non tanto l’esecuzione di un precetto, ma più ampiamente la bellezza di una vita secondo Dio, immersa nella sua Parola e mite davanti alla sua volontà. Essa cerca semplicemente e radicalmente la comunione d’amore con Dio e con il prossimo. E’ proprio questo primato dell’amore a guidare nella verita’ l’intera esistenza del credente. Il grande pericolo è la riduzione di tutto ad uno “spettacolo”. Gli “ipocriti” del ver.2 non sono solo una figura negativa, ma anche una figura tragica, che riduce la vita ad una “rappresentazione”, “per essere ammirati (ver.10)…per essere lodati dalla gente (ver.2)”.
Ecco invece il dono di una vita spesa nella ricerca dell’amore e della comunione d’amore, e quindi, in definitiva, nella ricerca appassionata di cose vere e di avvenimenti buoni. E’ facile allora capire che l’elemosina, argomento dei vers.1-4, non può essere uno spettacolo che termina con l’applauso del donatore, o con il suo nome scritto su una lapide. Il frutto dell’elemosina, che è tale perché stabilisce una relazione fraterna tra chi dona e chi riceve, ha la sua ricompensa nella nostra relazione con il Padre, che vede come abbiamo superato e annullato una ingiusta distanza facendo dell’elemosina una via di fraternità. Non penso che questo significhi tanto “fare le cose di nascosto”, quanto cercare quello che conta veramente, e cioè l’amore fraterno tra i figli di Dio.
Nello stesso modo, e con attenzione ancora più vigile, Gesù ci ricorda quale sia il volto di una preghiera vera, non ridotta a spettacolo, appunto. Qui l’ipocrisia sembra assumere addirittura elementi tragicomici, con la ricerca assurda di luoghi in vista e di atteggiamenti speciali “per essere visti dalla gente”(ver.5). Qualche volta lo penso davanti ad affettuosità portate clamorosamente in pubblico. La relazione d’amore, e quindi la preghiera(!), ama l’intimità e la riservatezza, per un evento così coinvolgente da esigere una certa preziosa segretezza. Il rischio sarebbe altrimenti ancora quello di una specie di “rappresentazione” che finisce con se stessa.
Ma il tema della preghiera pone addirittura una domanda sostanziale su che cosa sia la preghiera ebraico cristiana, rispetto ad altre concezioni religiose. I vers.7-8 citano una teoria religiosa che fa della preghiera il metodo per ottenere da Dio quello che si desidera, quasi fossero le parole delle formule magiche che, o per qualità o per quantità, fossero in grado di piegare la volontà divina verso l’orante. Ma, dice il ver.8, “il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate”. Ma allora, perché si prega?? Perché la preghiera è la via e l’evento della nostra più alta comunione con Dio Padre. Noi non cerchiamo nella preghiera il piegarsi della volontà di Dio verso di noi, ma cerchiamo ed esprimiamo il nostro desiderio e la nostra speranza di comunione con Lui. Per questo, il cuore della preghiera ebraico-cristiana è la restituzione, il rivolgere al Signore le Parole che Lui steso ci ha donate, come linguaggio e sostanza dell’amore che ci unisce a Lui. La preghiera è una celebrazione nuziale, dunque. E’ lo splendore luminoso di una vita “con Lui”, essendo Lui donato a noi per essere il “Dio con noi”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Le parole che ascoltiamo oggi sono in grande continuità con il brano di ieri che si concludeva così: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Questa “perfezione”che compete ai “figli del Padre celeste” e che è a loro donata in Gesù, corrisponde all’avvertimento – che è un comando – che riceviamo oggi dal Signore Gesù: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati”. Questo rischio, di fare le opere per avere gloria dagli uomini, è sempre presente nella nostra esperienza più ordinaria, come già il vangelo di Giovanni notava a proposito dei primi seguaci di Gesù: “Molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, … amavano infatti la gloria degli uomini più della gloria di Dio” (Gv 12:33-34).
Non cercare la gloria degli uomini è possibile quando ci riconosciamo tutti fratelli dell’unico Padre celeste, come ieri ascoltavamo e anche oggi Gesù ci ripete: “…altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli”.
L’elemosina è un fatto molto delicato (e forse qui ancora di più). Anche se si riesce a dare qualcosa in elemosina, bisogna sempre ricordare che non diamo mai qualcosa di nostro, ma tutto abbiamo ricevuto dal Padre. Conta molto l’atteggiamento con cui diamo cose che ci sono solo “affidate”. E questo ci mette sempre in relazione con il Padre, nel luogo più interno e nascosto della casa, dove si conservano le cose preziose, e dove si consuma l’amore.
v. 7 “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.” Esempio di questo confidare sulle molte parole per venire esauditi abbiamo ricordato la sfida tra Elia e i sacerdoti di Baal, come ci viene raccontata in 1 Re 18:19ss, i quali proprio per le loro molte invocazioni, accompagnate da salti scalmanati e da automutilazioni, supponevano di venire esauditi da un dio che non è Dio. Invece a Elia, fedele al suo Signore, Dio risponde, nel silenzio di un vento leggero.