24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27 Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 28 In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno».
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Il discepolo non è uno “scolaro” da banchi di scuola o aule universitarie, ma è una persona che cammina dietro a Gesù. Tale era stato il rimprovero severo di Gesù a Pietro nei versetti precedenti, dove lo chiama Satana, ma anche gli comanda di andare dietro a Lui. Poveri peccatori, noi discepoli siamo vigilati dalla misericordia del Signore che incessantemente ci riconduce a questo cammino che così facilmente smarriamo.
Oggi Gesù ci ricorda quale sia l’animo – o forse meglio l’ “anima”, termine reso in italiano con “vita”, e presente quattro volte nel nostro brano – con il quale seguirlo. Il verbo “rinneghi se stesso” è molto forte e implica il ripudio totale della condizione precedente. La “croce” ci avverte che peraltro il camminare dietro a Lui come suoi discepoli vuol dire seguire le orme del suo stesso cammino di obbedienza al Padre. Il “prendere la croce” che ovviamente ci spaventa, ha dunque anche un significato positivo meraviglioso. Vi confido che persino la prospettiva della morte, con la quale ho un rapporto difficile per la mia poca fede, spesso ora mi è di consolazione e oserei dire quasi di allegrezza, proprio perchè Lui è morto e mi sembra abbia reso luminosa anche la mia morte. Anch’io voglio morire con Lui e come Lui. Forse è una pretesa assurda.
La traduzione “vita” è certamenre opportuna, anche perchè il termine “anima” è molto delicato per il significato che gli attribuisce la nostra tradizione filosofica e teologica, molto diversa dal suo significato biblico. Però qui tenere presente anche il termine “anima” può essere utile per considerare per un momento la nostra vita come “dall’esterno”, guardarla nel suo compiersi spesso turbato e fragile. Usare il termine anima ci può servire proprio per dire a Gesù che veramente vogliamo perderla per causa sua, e così veramente ritrovarla, come ci dice il ver.25.
Amo molto la considerazione di Gesù che ritiene ogni anima preziosa più del mondo intero! Così possiamo ascoltare il ver.26. Quello che resta fortissimo è che per non perdere l’anima dobiamo perderla…per Lui! E chi non Lo conosce e non crede quindi in Lui? Noi non possiamo conoscere le vie e i fili attraverso i quali il Signore prende contatto con ogni anima e con ogni vita. Mi chiedo per esempio: e chi perdesse la propria anima, la propria vita, per amore della sua sposa e dei suoi figli? E chi spendesse tutta la sua vita per curare i malati poveri del mondo? Resta che nulla un uomo “potrà dare in cambio della propria vita”!! Sono tentato di commentare tutto pensando che amare è sempre un po’ perdere la propria vita.
Le “azioni” secondo le quali saremo giudicati, sono nel testo originale “la prassi”: un termine più ampio e più profondo che implica appunto l’interpretazione globale e le grandi decisioni della nostra esistenza: quanto cioè avremo, nella e con la nostra piccola vita, celebrato Gesù e il suo cammino d’ obbedienza d’amore fino alla Croce e al Padre. Addirittura si dice che in questo cammino dietro a Gesù “alcuni tra i presenti non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno. E questo, secondo me, è il miracolo della Trasfigurazione che, se Dio vorrà, ascolteremo posdomani. Domani, festa di S.Bartolomeo, letture della festa e sosta nella nostra Lectio continua. Ma testi belli anche domani, che vi consiglio di ascoltare con affetto e attenzione.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
v. 24 “Se qualcuno vuol venire dietro a me …”: “vuole”, così Gesù sottolinea la grande libertà nell’impegno di seguirlo. E inoltre non è un discorso rivolto solo ai discepoli, ma a tutti (“alle folle”,secondo il parallelo di Marco).
Cosa vuol dire “rinnegare se stessi”’ La spiegazione la riceviamo dal brano di Galati di oggi: “Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri.” (5:24). Sono le opere dell’uomo vecchio, invece voi “vi siete spogliati dell’ uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore” (Col 3:9s).
Rinnegare se stessi è’ prendere la croce e seguire Gesù, evitando di “provocarci e invidiarci gli uni gli altri” (v. 26).
“Rinneghi se stesso…”. Ricordiamo la esperienza di Geremia, sedotto dal suo Signore. Voleva smettere di parlare le parole che Dio gli affidava, ma era costretto dall’interno a rinnegarsi: “Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!”. Ma nel mio cuore c’ era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20:9). È come dice S. Paolo di sé: “Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!”. Ma nel mio cuore c’ era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Gal 2:20).
Anche in Filip 3:7-11 Paolo ci descrive cosa vuol dire per lui “rinnegare se stesso” e “prendere la croce”: “Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti”: lasciare perdere tutte queste cose in cui ci poteva essere autoconfidenza, per guadagnare Gesù, in una profonda comunione con le sue sofferenze e le sua glorificazione.
“Prenda la sua croce…”: può aiutarci anche la memoria del paralitico a cui Gesù, dopo averlo guarito, comanda di “prendere il suo lettuccio e andare a casa sua” (Mc 2:11). Prendere il lettuccio diventava per lui il modo di mostrare la potenza di Gesù che lo aveva salvato. E il nostro “prendere” la croce, vuole anche dire portare – per la parola di Gesù – ciò che ci opprime, che non ci lascia neppure camminare.
Queste parole immediatamente successive all’affettuoso rimprovero di Pietro a Gesù che aveva appena preannunciato ai discepoli la necessità della sua passione e morte, vogliono forse anche dirci che il vero amore è necessariamente unito alla croce, da prendere “ogni giorno” (Lc 9:23). Peraltro il suggerimento del brano di oggi dei Galati è che “crocifiggere la carne con i suoi desideri”, cioè “prendere la croce di Gesù”, non è un valore in sè, come non lo è la penitenza e ogni rinuncia per una presunta autopurificazione davanti a Dio, ma è vera solo se è la via dell’amore “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (5:22).