11 Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. 12 Ma egli, con un profondo sospiro, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione”. 13 E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all’altra sponda.
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Spuntano – come altre volte, e non si sa bene da dove – i farisei. Erano i “santi” di Israele, gli scrupolosi osservanti della legge…: ebbene, il loro fine è “tentarlo” (la traduzione dice “per metterlo alla prova”). Che paradosso: gli uomini più pii e religiosi fungono da agenti del Satana, il tentatore! – Chiedono un segno “dal cielo”: “Cielo” può essere una perifrasi per indicare Dio; oppure l’espressione può indicare semplicemente la richiesta di un segno prodigioso, cosmico. – Davanti alla cecità e alla durezza di cuore, Gesù ha, anche questa volta, un “profondo sospiro”, un gemito che gli sale dal profondo… Rifiuta di dare il segno e li abbandona se stessi, alla loro ottusità. Riprende la barca (quanto naviga il Signore in questa parte del Vangelo!) e torna all’altra sponda, cioè di nuovo in territorio “pagano”. E domani saremo alle prese col pane e con il lievito dei farisei.
E’ stupefacente che questa richiesta di segni segua immediatamente il miracolo dei pani! Ma questo è tipico della realtà e del problema di questi “segni”, per cui quelli, magari clamorosi, che Dio dà per sua iniziativa, non hanno rilievo in chi pretende segni che siano convincenti per chi li domanda. Al punto che conclusivamente i Vangeli tendono ad effermare che chi crede vede molti segni, ma chi non crede è cieco anche davanti ai segni più forti. In questo senso, il fatto che i farisei chiedano i segni “per metterlo alla prova”(ver.11), non significa che essi desiderino credere a Gesù, ma al contrario, essi cercano il modo per metterlo in discussione e rifiutarlo.
Al ver.12 ritorna il “sospiro” che avevamo già visto in 7,34. Sono portato a pensare ancora ad un’allusione da parte del Signore, alla sua Pasqua di Passione, Morte e Risurrezione. Essa è quel “segno di Giona” che nel testo parallelo di Matteo 16,1-4 Gesù annuncia, e che appunto è la sua morte. Ma questo “segno” è un “non-segno”, ed è la realtà suprema di cui se mai tutto quello che Gesù dice e compie è segno e premonizione. La “generazione” citata dal Signore non si riferisce tanto all’umanità di un certo tempo, ma forse più globalmente all’umanità prigioniera del male e dunque incredula.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
L’inizio del brano di oggi mostra chiaramente che i farisei non sono discepoli, e che anche si pongono “fuori” dal gruppo di quanti ieri vedevamo “rimanere insieme” al Gesù. Loro ponendosi fuori, indicano che “questa generazione” di cui sentiamo dire oggi è la generazione che non è ancora entrata nel numero di quelle folle che “stanno con” Gesù.
Il segno, che qui viene rifiutato ai farisei, ci sarà alla fine del Vangelo, e sono i segni che “seguono coloro che credono” (Mc 16:20). Gesù chiama qui “questa generazione” “incredula”: forse qui il guaio è che non è ancora entrata nella fede. I farisei cercano un segno da Gesù, mettendolo alla prova.
C’è grande differenza rispetto alla gente che abbiamo nei due brani precedenti. Gesù non accetta di dare segni di autenticazione di sè, in modo strabiliante, “dal cielo”, a chi lo tenta per soddisfare la propria curiosità e incredulità.
Anche oggi Gesù “geme nel suo spirito” (v.12). Questo “gemito” ci ricorda come pure “gemette” (parola molto simile) davanti al sordomuto che gli veniva portato, con la preghiera che lo toccasse con la mano (7:34). Là Gesù “gemette” rivolto al cielo, e diede un segno di misericordia a chi lo supplica a partire dal suo bisogno e chiedendogli con fede una cosa piccola: toccarlo con la Sua mano.
Gesù non dà segni clamorosi, che si impongono, “dal cielo”. I suoi segni sono parole di misericordia, sono gesti di amore, avvengono nel silenzio, fino al segno più grande: la vita donata. I segni ci sono già, nella nostra vita, nella storia, negli avvenimenti quotidiani. Bisogna solo saperli riconoscere.