16 Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. 17 Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. 18 Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». 19 E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. 20 Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
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Mi interrogo con voi su questa assurda “liturgia”. Assurda, ma anche drammatica. In realtà la coorte (più efficace la traduzione rispetto alla versione italiana “truppa”, perché coorte esige di prendere atto che si trattava di seicento persone!) mette insieme per derisione una liturgia del potere alla quale non solo è abituata, ma, forse, dalla quale è del tutto dipendente. Come a dire: questo Gesù pretende di essere quello che solo l’imperatore legalmente può pretendere. In questo modo “travestono” il Figlio di Dio, e, insieme alle botte, gli si prostrano davanti, attribuendo al Figlio di Dio quello che loro tributano all’idolo del potere.
Non sono in grado di comunicare il mio stupore e la mia paura. Non posso però ignorare che quando nelle nostre “liturgie” assumiamo questi “segni”, rischiamo di assimilare il mistero e la potenza del Figlio di Dio alle regalità della terra. Siamo forse esposti anche noi, oggi, ad assumere “travestimenti” mondani che certamente non esprimono la potenza e il potere del Figlio di Dio, morto nudo sulla croce? Mi chiedo: non siamo forse esposti al rischio di rivestire con serietà religiosa quello che Gesù doveva assumere per derisione?
Quindi: non sarebbe meglio che ci chiedessimo “come” anche noi, oggi, possiamo rendere presente con più efficacia, e quindi con più potenza, la signorìa “strana” e meravigliosa del nostro Signore? Certo, a me va bene anche rimanere nel cortile, nel pretorio della derisione di Gesù da parte di questi poveri servi dell’idolatrìa del potere mondano, ma non potremmo pensare a “come” celebrare, e quindi rendere presente, la regalità nuova del nostro Signore Gesù?
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.