9 Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10 Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
11 E lo interrogavano: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 12 Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. 13 Io però vi dico che Elia è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».
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Mi sembra che questa parola del Signore voglia proporre una riflessione attenta sul mistero e sul dono della risurrezione dai morti. Ed è appunto come supremo dono di Dio che Gesù mi sembra voglia considerarla. Per questo, solo a partire da essa si potrà dire di quello che i discepoli hanno visto sul monte della Trasfigurazione. Altrimenti quel miracolo di luce e di gloria potrebbe apparire come capacità-potenza dell’uomo. Invece, tutta la vita nuova, tutta la vita evangelica è dono! Per questo deve essere colta e accolta non “prima”, ma dopo la morte e nella vita nuova che può e deve essere sempre e solo dono di Dio. La risurrezione dai morti è infatti l’affermazione suprema dell’invincibile fragilità della vita umana inevitabilmente esposta e affacciata alla morte. La risurrezione non può che essere opera e dono di Dio! Ma dunque la risurrezione è il principio e la potenza di una vita nuova che non può che essere grazia! Il Vangelo è il lieto annunzio di una vita che è tutta dono del Signore. Allora, proprio per questo si potrà dire della Trasfigurazione, come di tanti altri eventi e prodigi, solo a partire dall’evento che non può essere che opera e dono di Dio! Chiedo scusa per il mio scrivere così contorto!
L’espressione resa in italiano al ver.10 con “che cosa volesse dire risorgere dai morti” è in realtà molto più densa : “che cosa fosse risorgere dai morti”. Il problema non è quello del significato di una frase, ma è quello dell’evento stesso, che è fuori da ogni possibile pensiero e progetto umano! E’ la domanda che inevitabilmente ci poniamo incessantemente! A me fa piacere che Gesù accolga la mia fatica e il mio travaglio di persona fragile e esposta all’incredulità! Questo illumina il senso profondo di tutta la vita cristiana che deve essere considerata non come un insieme di regole, ma come la meraviglia di doni da accogliere nella nostra umile vita.
L’ “Elia” che deve venire prima, è il profeta della fine, che deve venire a raccogliere tutta la preziosa eredità di Israele e la sua storia tutta generata e guidata dall’amore di Dio per il suo popolo, profezia del dono d’amore che in Gesù Dio vuole fare all’intera umanità: la vita dei figli di Dio! Vita d’amore, più forte della morte. Quando siamo stati battezzati, noi siamo stati immersi nella morte di Gesù e siamo risorti con Lui! La nostra umile vita non sta camminando verso la morte, ma verso la pienezza della vita che ci è stata donata.
Giovanni Battista è quell’ “Elia che è già venuto”. Ma anche a lui “hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui”, e anche per questo Egli è l’ultima e suprema profezia del Messia del Signore, del “Figlio dell’uomo, che deve soffrire molto ed essere disprezzato” (ver.12). Con Gesù e in Gesù e nella sua morte, la morte viene definitivamente vinta.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
I discepoli ripropongono a Gesù quello che gli scribi e la tradizione sostenevano: deve venire Elia a ristabilire ogni cosa… Si aggrappano anche loro al passato, come facciamo spesso anche noi, che ci rivolgiamo alle cose vecchie e non cogliamo la assoluta novità di Gesù. – Elia e Mosè, osserva Ricardo Perez, erano servi di Dio, ministri di un’alleanza basata sulla distanza tra il Signore e gli uomini, suoi servi. Il Figlio dell’uomo, invece, ha fatto di noi dei figli di Dio e la nuova alleanza è tra padre e figli amati. Le autorità religiose faranno pagare a caro prezzo a Gesù le “troppe” novità, che scardinavano il loro sistema di potere. Egli dovrà “soffrire molto”, dice Marco usando un verbo greco raro: “pasco”. Esso richiama direttamente non solo la passione ma la pasqua tutta del Signore (così padre Perez).