17 Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20 Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21 Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22 Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
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Abbiamo visto due volti della nuova umanità che nasce dalla Pasqua di Gesù: la piccolezza, con tutto il rilievo dell’immagine dei bambini, e la comunione d’amore con l’immagine luminosa delle nozze. Il terzo volto è quello della povertà, nota essenziale della fede, come vedremo.
L’occasione è questo incontro con un uomo ricco. Non è un giovane, secondo Marco, come invece è nel testo parallelo di Matteo 19, e se mai è più vicino al titolo di “capo” che gli dà il parallelo di Luca 18. Questa persona, anche nel suo “ardore” sembra un “ricco di spirito”, espressione che non è nella parola di Dio, ma che sembra essere l’opposto di quei “poveri in spirito” che il Signore chiama “beati” in Matteo 5,3.
Il Signore reagisce con una certa energia al titolo di “maestro buono” che gi viene assegnato: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo!” (ver.18). In tal modo Lui stesso, il Figlio di Dio (!), collega strettamente la sua persona a quella del Padre. E anche il seguito, con l’indicazione dei comandamenti della Legge, sembra voler “tener basso” il livello del discorso, come desiderio e attenzione propria di ogni credente. Ma l’altro evidentemente non si accontenta e rivendica la sua fedeltà come un dato di tutta la sua vita: “fin dalla mia giovinezza!” (ver.20). Resta quindi il livello alto della sua richiesta.
A questo punto, la memoria evangelica di Marco si differenzia dalle altre per un particolare di grande rilievo. Dice infatti che Gesù “fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse …”. Questo sguardo e questo amore privilegiato dicono una chiamata particolare, e quindi l’accoglienza che Egli riserva alla domanda di quest’uomo, e dunque l’invito ad una sequela particolare e particolarmente ricca: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (ver.21).
Ma proprio l’invito del Signore mette in evidenza il problema di quell’uomo, che è appunto la ricchezza. Quale ricchezza non è detto. E si potrebbe persino sospettare una sua ricchezza di orgogliosa virtù e di potenza spirituale o di esperienza interiore… Ma si può pensare anche più semplicemente ad un uomo molto ricco. E la sua ricchezza è anche la sua prigione. Lo invade allora la tristezza di un allontanamento e di una rinuncia.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
P.S. Vi avverto che lunedì, essendo la liturgia degli Arcangeli e degli Angeli con letture proprie, non c’è la nostra Lectio di Marco.
“Un tale gli corse incontro”: era una persona angosciata, come suggerisce quel correre, cosa che era considerata disdicevole nella società del tempo. Tutti possiamo identificarci con quel “tale”, qualunque sia il tipo di ricchezza di cui usufruiamo. Come rimedio, Gesù ci dà due indicazioni straordinarie. Prima di tutto, “solo Dio è buono”: egli è “il buono”, la bontà, la fonte di ogni bene. Angoscia e ansie di ogni tipo non possono separarci da questa fonte di benignità e di amore. – Ma noi, cosa dobbiamo fare? Gesù conferma come primo passo quello dei comandamenti; ma – come abbiamo accennato altre volte – egli non indica i comandamenti verso Dio, bensì solo quelli riguardanti il prossimo: “Non uccidere, non commettere adulterio, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”. Nei rapporti con gli altri, nelle relazioni umane, nella vita sociale possiamo praticare un amore simile al suo.