10 Ora il figlio di una donna israelita e di un egiziano uscì in mezzo agli Israeliti; nell’accampamento, fra questo figlio della donna israelita e un israelita, scoppiò una lite. 11 Il figlio della Israelita bestemmiò il nome del Signore, imprecando; perciò fu condotto da Mosè. La madre di quel tale si chiamava Selòmit, figlia di Dibri, della tribù di Dan. 12 Lo misero sotto sorveglianza, finché fosse deciso che cosa fare per ordine del Signore. 13 Il Signore parlò a Mosè: 14 “Conduci quel bestemmiatore fuori dell’accampamento; quanti lo hanno udito posino le mani sul suo capo e tutta la comunità lo lapiderà. 15 Parla agli Israeliti e dì loro: Chiunque maledirà il suo Dio, porterà la pena del suo peccato. 16 Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo del paese, se ha bestemmiato il nome del Signore, sarà messo a morte. 17 Chi percuote a morte un uomo dovrà essere messo a morte. 18 Chi percuote a morte un capo di bestiame lo pagherà: vita per vita. 19 Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: 20 frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatta all’altro. 21 Chi uccide un capo di bestiame lo pagherà; ma chi uccide un uomo sarà messo a morte. 22 Ci sarà per voi una sola legge per il forestiero e per il cittadino del paese; poiché io sono il Signore vostro Dio”. 23 Mosè ne riferì agli Israeliti ed essi condussero quel bestemmiatore fuori dell’accampamento e lo lapidarono. Così gli Israeliti eseguirono quello che il Signore aveva ordinato a Mosè.
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Come già si era dato al cap.10 per l’incenso di Nadab e Abiu, così qui un singolo episodio è occasione per stabilire – o ribadire – la norma divina. Siamo al cuore della fede ebraica: il Nome divino. Diversamente da come noi intendiamo la bestemmia, e che forse compare al ver.15, circa il peccato di chi “maledirà il suo Dio”, il peccato che qui viene preso in considerazione è il fatto di”nominare” il Nome di Dio. Nome impronunciabile, ed è per questo che anche il nostro testo non ha, al ver.11, l’espressione “il nome del Signore”, ma semplicemente “il Nome”, dove il termine “nome” sostituisce il nome impronunciabile di Dio. Come sapete, la fedeltà rigorosa a questo precetto ha fatto sì che oggi non si conosca la dizione delle quattro consonanti del nome divino nella lingua ebraica. Possiamo ricordare che anche Gesù viene condannato con questa motivazione di bestemmia.
La tradizione del commento ebraico si sofferma su quel “uscì” del ver.10 e tende ad affermare che quell’uomo uscì dalla Legge, o uscì, colpevole, dal tribunale di Mosè. E a proposito della lite scoppiata con l’israelita nell’ “accampamento”, suppone che l’oggetto del litigio fosse intorno al fatto che questo figlio di straniero si era accampato tra le tende della tribù di sua madre,ma per questo veniva contestato. Ancora il commento tende ad aggiungere negatività al colpevole, affermando che il nome di sua madre e la sua appartenenza famigliare rivelano che era una chiacchierona e ciò si rivelerebbe dal nome Selomit, che ricorda il saluto ebraico shalom, come pure il nome di suo padre, Dibri, che pure evoca il termine davar, parola: se ne deduce che si fermava con tutti a dire Shalom, shalom, e quindi per questo aveva avuto un figlio da uno straniero.
Il nostro testo sottolinea che l’evento è molto delicato e bisogna quindi aspettare il verdetto di Dio; per questo “lo misero sotto sorveglianza”(ver.12). La sua lapidazione, con il gesto collettivo dell’imposizione delle mani su quello di cui hanno udito l’imprecazione ha il senso di una purificazione della comunità con un rito sacrificale dove il condannato ha la funzione della vittima di espiazione. Questo ci avvia a comprendere il motivo profondo della novità portata da Gesù, come è detto in Matteo 5,38-42 su questa “legge del taglione”. La potenza del sacrificio di Gesù Cristo, vittima innocente per la nostra salvezza, fa sì che la norma antica venga rispettata in pienezza con la morte redentrice dell’Innocente. A questo proposito è interessante anche un piccolo particolare che dice come il bestemmiatore deve essere colpito a morte “fuori dell’accampamento”(ver.14), come Gesù è stato crocifisso fuori della città.
Il fatto che la legge valga anche per lo straniero apre alla prospettiva che anche lo straniero sarà coinvolto nell’evento salvifico della Pasqua del Signore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Qui oggi leggiamo in negativo ciò che poi il Vangelo volgerà a comando positivo: qual è il comando più grande? L’amore per Dio e per il prossimo sono indissolubili. Qui si può vedere la stessa cosa. Dio sente il bisogno di non lasciare isolato il comando relativo alla profanazione del Suo Nome, e aggiunge subito quello che riguarda la violenza (e la sua sanzione) fatta al prossimo.
Nel Vangelo letto oggi (Gv 7:15ss) il Signore si difende da chi vuole ucciderlo, rivelando che “Nessuno di voi osserva la legge!” e perciò che tutti i suoi accusatori sono – essi pure – sotto il castigo previsto dalla Legge. “Perchè dunque volete uccidermi” prendendo a pretesto la Legge di Dio? Così oggi chi, secondo la legge che prevede la lapidazione del bestemmiatore, dovrebbe eseguire questa sentenza, ricordi che sarà soggetto allo stesso giudizio; come la memoria della “legge del taglione” sembra voler anche qui ricordare.Vengono perciò ancora in mente le parole di Gesù agli accusatori della adultera: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra!”
Nel momdo semitico il nome non era una semplice etichetta, come lo è quasi sempre per noi, ma era un aspetto della personalità, significava la persona stessa. Il nome della divinità comportava addirittura, per chi lo conosceva, una partecipazione al suo potere, alla sua forza. Il Dio dei padri e di Mosè, comunque, fa conoscere il suo nome; si chiede solo, nei “comandamenti”, di non pronunciarlo “invano”, in modo menzognero od offensivo, come nell’episodio narrato oggi. Con Gesù ci è stato insegnato a rivolgerci a Dio come “Padre nostro”, a chiamarlo con le parole della tenerezza familiare: “Abbà”… (pur ricordandoci Paolo che solo grazie allo Spirito possiamo pronunciare queste parole). – “Porranno le mani sulla testa” del colpevole: oltre alla interpretazione di don Giovanni, ne leggo un’altra più giuridica: i testimoni certificherebbero in questo modo che l’accusato ha commesso realmente il fatto e si assumono la responsabilità della condanna. Nessuna pena può essere attribuita a cuor leggero. Leggendo queste righe, risuonano anche nelle orecchie i commenti fatti su Gesù: “Costui bestemmia!”. Lui, che ha salvato altri dalla lapidazione, doveva finire lapidato egli stesso “nel rispetto della legge”.
La lapidazione del bestemmiatore mi ha molto impressionato.
Dopo i versetti di ieri sulla luce continuamente accesa e sulle focacce offerte che mi sembrava potessero, per grazia, riguardarci oggi il cap.24 mi sembra si inabissi nel peccato.
Mi ha colpito questo accostamento.
Se le nostre vite sono riassunte da questo capitolo si possono vedere forse due dritte
-la luce continuamente accesa e i pani offerti sono davanti al Signore..
-la bestemmia conduce alla morte
Mi viene in mente Ez 37.
Dai versetti di oggi mi resta molto l’idea che non possiamo fare altro che invocare lo Spirito e chiedere di tenerci davanti a Lui,di salvarci dalla nostra capacità di bestemmiare.
‘Ecco io faccio entrare in voi lo Spirito e rivivrete.’ Ez 37
“… ma chi uccide un uomo sarà messo a morte… essi condussero quel bestemmiatore fuori dell’accampamento e lo lapidarono…”
provo orrore per queste parole di violenza e con tutto il cuore avverto, più che mai, la novità che Gesù porta,
superando l’antica legge della vendetta e della morte. Dopo di Lui, sacrificio di redenzione per noi, il messaggio non è più di odio ma di pace. Tutto molto profondo, ma anche molto semplice, come è la vera legge dell’amore.
Il Signore mi ha provato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte
Salmo 117