47 Quando apparirà una macchia di lebbra su una veste, di lana o di lino, 48 nel tessuto o nel manufatto di lino o di lana, su una pelliccia o qualunque altra cosa di cuoio, 49 se la macchia sarà verdastra o rossastra, sulla veste o sulla pelliccia, sul tessuto o sul manufatto o su qualunque cosa di cuoio, è macchia di lebbra e sarà mostrata al sacerdote. 50 Il sacerdote esaminerà la macchia e rinchiuderà per sette giorni l’oggetto che ha la macchia. 51 Al settimo giorno esaminerà la macchia; se la macchia si sarà allargata sulla veste o sul tessuto o sul manufatto o sulla pelliccia o sull’oggetto di cuoio per qualunque uso, è una macchia di lebbra maligna, è cosa immonda. 52 Egli brucerà quella veste o il tessuto o il manufatto di lana o di lino o qualunque oggetto fatto di pelle, sul quale è la macchia; perché è lebbra maligna, saranno bruciati nel fuoco. 53 Ma se il sacerdote, esaminandola, vedrà che la macchia non si è allargata sulle vesti o sul tessuto o sul manufatto o su qualunque oggetto di cuoio, 54 il sacerdote ordinerà che si lavi l’oggetto su cui è la macchia e lo rinchiuderà per altri sette giorni. 55 Il sacerdote esaminerà la macchia, dopo che sarà stata lavata; se vedrà che la macchia non ha mutato colore, benché non si sia allargata, è un oggetto immondo; lo brucerai nel fuoco; vi è corrosione, sia che la parte corrosa si trovi sul diritto o sul rovescio dell’oggetto. 56 Se il sacerdote, esaminandola, vede che la macchia, dopo essere stata lavata, è diventata pallida, la strapperà dalla veste o dalla pelle o dal tessuto o dal manufatto. 57 Se appare ancora sulla veste o sul tessuto o sul manufatto o sull’oggetto di cuoio, è una eruzione in atto; brucerai nel fuoco l’oggetto su cui è la macchia. 58 La veste o il tessuto o il manufatto o qualunque oggetto di cuoio che avrai lavato e dal quale la macchia sarà scomparsa, si laverà una seconda volta e sarà mondo. 59 Questa è la legge relativa alla macchia di lebbra sopra una veste di lana o di lino, sul tessuto o sul manufatto o su qualunque oggetto di pelle, per dichiararli mondi o immondi”.

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Per questo tema delle vesti non trovo indicazioni che portino verso una considerazione del tema intorno alla concreta realtà degli abiti, quanto verso la grande importanza del loro significato simbolico. Segno della grandezza e della miseria umana, gli abiti coprono la nudità che ha mostrato il suo volto drammatico da quando la creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio si è trovata priva di quello spirito che l’avvolgeva e la rivestiva, a causa del peccato. L’abito è dunque molte volte segno di un’elezione che nell’antica economia della preparazione e della profezia annuncia un adempimento finale nel quale l’abito sarà il Signore stesso: “Vi siete rivestiti di Cristo”.
Gli abiti “comuni” accompagnano la sorte dell’uomo, e quindi sono legati alla sua stessa fedeltà-infedeltà. Qui mi sembra si trovi il senso di un collegamento tra la lebbra dell’uomo e la lebbra del suo abito. Nel “regime” della Legge non si potrà che vigilare sulla purezza esterna degli abiti. E qui vale anche il significato del termine “abito” come “costume”, e quindi come comportamento. La bella regola che noi cerchiamo di custodire come guida della nostra vita cristiana ci parla di conversione dei nostri costumi, non operabile da noi con le nostre forze, ma “sperata” in una vita vissuta nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro.
Ci sono abiti drammaticamente colpiti da piaghe di lebbra mondana, abiti di potere, di lussuria, di guerra. Questi non potranno che essere bruciati.
Alla fine, il Figlio di Dio mostrerà lo splendore dell’abito divino sul Monte della Trasfigurazione, abito celato nella povertà della condizione umana che Egli ha assunto, abito di cui sarà spogliato all’ora della Croce, perché noi possiamo essere rivestiti di Lui.
La preoccupazione del legislatore poteva essere quella di evitare la diffusione di malattie per contatto di abiti od oggetti “infetti”. E’ comunque notevole l’analisi dei casi e la spiegazione delle procedure da seguire. Lavare una prima…, una seconda volta…, osservare, constatare…, isolare l’oggetto, infine – se necessario – bruciare col fuoco. Sul tema dell’abito, ha già scritto belle osservazioni don Giovanni. Mi piace ricordare anche l”accipe vestem candidam” del nostro battesimo: non un passaggio dall’impuro al puro, ma l’essere rivestiti di Cristo , l’assumere gli abiti del figlio e dell’erede.
Il brano di oggi, parlandoci della “lebbra dei vestiti”, conclude questo cap. 13 tutto dedicato a questa malattia. Non solo gli uomini, ma anche le cose (i tessuti, gli oggetti di cuoio, ecc) ne sono soggetti.
Però notiamo una grande e importante differenza tra il “trattamento” dell’uomo e delle cose. Di quest’ultime si dice per ben quattro volte (vv. 52, 55 e 57) che deve essere “bruciata (lett. consumata) nel fuoco”. Per l’uomo lebbroso avevamo letto invece che deve essere separato e vivere da solo, in lutto, fuori dell’accampamento. Certo un trattamento severo, ma non una sentenza definitiva di distruzione.
Dio vuole chiarire che ai suoi occhi l’uomo ha ben più valore delle cose, che se contaminate possono e devono venire distrutte. L’uomo, va posto in una situazione di attesa, quasi di speranza che si compia
quello che Dio, nel suo infinito amore per l’uomo, stava già pensando e preparando: la pasqua di Gesù, cioè la salvezza impossibile di tutti gli uomini colpiti dalla malattia incurabile del peccato e della morte.
E il lavare l’oggetto “malato”, azione che oggi è citata più volte, e che sarà ripresa nel testo di domani sulla purificazione del lebbroso, rimanda forse al lavacro battesimale.
Se pure agli occhi di Dio l’uomo ha tanto più valore delle cose, come abbiamo visto, è anche vero che la “malattia” da cui possono venire colpiti è la stessa, cosicchè sia l’uomo che le cose, se colpiti o meno dalla “lebbra” possono essere impuri o puri.Inoltre secondo Tito 1:15 c’è anche una forte relazione tra loro: “Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza”.
I brani di questi giorni sembrano volere suggerire che Dio desidera per l’uomo solo cose belle. E ciò che non è bello, ciò che è impuro “malato”, come i tessuti di oggi, non fa per lui e quindi va distrutto.