25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27 Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28 Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29 Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31 Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
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Nel dramma del fratello maggiore noi cogliamo l’inevitabile difficoltà cui sono esposti sia il credente, sia chi si muove nei termini di una giustizia razionale e quindi, inevitabilmente, retributiva, del tipo “chi rompe, paga”. La conclusione del cap.15 è dunque di capitale importanza, perché mostra la realtà di Dio con assoluta chiarezza, e in questo evidenzia quale sia la suprema difficoltà della coscienza e della vita cristiana: la misericordia divina. Commentando i versetti precedenti abbiamo pensato di dover togliere anche l’ultimo appello ad una giustizia divina più comprensibile, più plausibile e, infine, più “giusta”. Infatti abbiamo cercato di mostrare che il ritorno a casa del figlio minore non soddisfaceva le esigenze delle due precedenti parabole che attribuivano solo a Dio, nelle figure del pastore e della donna, la ricerca e il ritrovamento di ciò che era perduto, anzi, di ciò che essi avevano perduto. Per questo noi coglievamo l’evento salvifico di quella vicenda non tanto nel ritorno di chi vuole poter mangiare come servo tra i servi, ma nel bacio del padre che lo riconosce come figlio amato, perduto, e finalmente ritrovato.
Questo viene confermato dalla reazione del fratello maggiore, che mostra come egli avrebbe forse accettato un ritorno penitente e mesto di suo fratello, ma non può accettare la festa che loro padre ha indetto per lui. Notiamo quindi come per il fratello maggiore la difficoltà non sia tanto il ritorno del fratello, quanto la festa del padre. Tale festa è per lui – e naturalmente e razionalmente anche per noi! – la negazione della giustizia. E’ in nome della giustizia che egli protesta. Ma è una giustizia “servile” quella che egli ha praticato e ora rivendica: “Ecco, io ti servo (!) da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando”(ver.29). Questa rivendicazione è accompagnata addirittura da una istanza ulteriore: “…e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici”. Per lui il padre non è stato – e non è – un padre, ma un padrone! La festa del padre è oltraggiosa ai suoi occhi, fino a non poterla e a non volerla affrontare.
La risposta del padre è in questo senso ancor più severa verso di lui, che non dovrebbe solo accettare la festa per suo fratello, ma essere in comunione piena con suo padre: “…ma bisognava far festa e rallegrarsi…”, egli dice, coinvolgendo il fratello maggiore nella sua esultanza misericordiosa. In questo “bisognava far festa” viene affermato dal padre quale sia il dovere e il compito della comunità credente nei confronti del fratello peccatore. La sua responsabilità è intimamente connessa alla sua condizione e alla sua vicenda: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Proprio per questo egli non può che assumere la misericordia di suo padre verso suo fratello.
La parabola si conclude quindi con una “sospensione” rivolta a tutte le generazioni cristiane: entrerà in casa il fratello maggiore? Così, si compie una specie di “ribaltamento”: chi era fuori viene accolto con festa. E chi era “dentro”, ma, come dicevamo, forse non era veramente dentro perché lo era come servo e non come figlio, ora deve entrare non come servo ma come figlio, e quindi come fratello bisognoso della stessa misericordia del padre. La tensione tra i termini “figlio” e “servo” dice l’opera divina che Gesù ha compiuto con la sua Pasqua portando su di Sé il peccato del mondo. E quindi la nuova condizione non più servile come nel regime della Legge, ma figliale nella signoria del Vangelo di Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il commento 2007 (Lc 15,11-32):
https://www.famigliedellavisitazione.it/lc-1511-32.html
La parabola ci ha riproposto questo grande “mistero”: abbiamo la possibilità e la capacità di fare scelte decisive per la nostra vita e Dio non si intromette, partecipa ma non ci blocca, anche se le scelte sono negative e ci portano al precipizio. A questo punto Dio diventa quel padre che lascia trascorrere il tempo nell’attesa, nella ricerca (a scrutare dal punto più alto della casa), a sperare… E a noi è dato provare le bellezza, il piacere di essere attesi, desiderati, cercati…, in una parola, amati sempre e comunque. Possiamo accontentarci anche di immedesimarci nel secondo figlio, al quale sono dette quelle magnifiche parole: “tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo…”. E comunque, primo e secondo fratello sono oggetto della medesima volontà del padre di recuperarli entrambi “sani e salvi”. Quella che abbiamo meditato in questi giorni è proprio “la parabola del Padre”, come alcuni propongono di chiamarla.