24 Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù cominciò a dire alla folla riguardo a Giovanni: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? 25 E allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano vesti sontuose e vivono nella lussuria stanno nei palazzi dei re. 26 Allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. 27 Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco io mando davanti a te il mio messaggero,
egli preparerà la via davanti a te.
28 Io vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni, e il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui. 29 Tutto il popolo che lo ha ascoltato, e anche i pubblicani, hanno riconosciuto la giustizia di Dio ricevendo il battesimo di Giovanni. 30 Ma i farisei e i dottori della legge non facendosi battezzare da lui hanno reso vano per loro il disegno di Dio.
31 A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? 32 Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!
33 È venuto infatti Giovanni il Battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: Ha un demonio. 34 È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. 35 Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli».
Seleziona Pagina
Gesù stabilisce tra Sé e Giovanni un forte legame, e in tal modo esprime con grande forza “il disegno di Dio”, come viene detto al ver. 30. Mi sembra che possiamo tenere questa espressione – “il disegno di Dio” – come il titolo della nostra preghiera di oggi. Questo “disegno” in “due tempi” è simbolicamente rappresentato dalle due figure di Giovanni e del Signore.
Con due immagini molto espressive, la canna agitata dal vento e l’uomo avvolto in morbide vesti, viene sottolineata da una parte l’austera fermezza della testimonianza giovannea, e dall’altra la sua radicale non-mondanità, la libertà coraggiosa della sua vita e della sua opera. In questo, Giovanni, che è “un profeta…e più che un profeta” (ver. 26), rappresenta pienamente l’economia della profezia e della preparazione, quella che attraverso il dono della Legge – cioè della Parola di Dio manifestata nella storia, nella profezia e nel culto di Israele -deposita nella vita del popolo eletto il mistero della santità di Dio. Con questo e in questo viene svelata all’uomo anche la sua condizione ferita e bisognosa di salvezza. Giovanni, ultimo profeta, è “il messaggero” (ver. 27) che prepara la via al Messia Salvatore. Il suo battesimo (ver. 29) è l’atto penitenziale di conversione, che esprimendo nella penitenza il bisogno della salvezza, dispone il popolo a ricevere il Figlio di Dio.
“Tutto il popolo e anche i pubblicani (peccatori pubblici) hanno riconosciuto la giustizia di Dio ricevendo il battesimo di Giovanni”; il ver. 29 descrive così il popolo preparato alla venuta del Cristo: un’esistenza immersa nella Parola di Dio che abbatte l’orgoglio e la superbia della vita e dispone all’accoglienza di “Colui che deve venire”. La pretesa sicurezza dei farisei e dei dottori della legge, che pensano di poter realizzare la loro giustizia attraverso la loro osservanza della Legge, vanifica per loro “il disegno di Dio” (ver. 30).
Ma come non hanno riconosciuto il disegno di Dio nell’ammonizione di Giovanni, così non saranno in grado di gioire per la presenza del Salvatore in mezzo a loro. Il gioco cantato dei bambini sulla piazza è l’immagine felicissima di questo disegno accolto dai peccatori e respinto da coloro che si ritengono giusti. Non hanno fatto penitenza riconoscendo la loro lontananza dalla santità di Dio; ora non sono capaci di riconoscere in Gesù il tempo e l’occasione della salvezza. Hanno respinto Giovanni con i suoi segni di penitenza, come ora respingono il Cristo Signore e i segni della gioia e della festa. Non hanno pianto per riconoscere il loro male. Ora non ballano per partecipare alla festa del Messia salvatore.
In questa tensione tra Giovanni e Gesù si può cogliere la tensione morte-vita, croce-risurrezione, che è il volto ormai compiuto del mistero di Dio nella storia dell’umanità.
Tre piccole annotazioni:
– Al v. 24 si parla di “una canna agitata dal vento”: ho sentito dire che Erode, che avava posto in Tiberiade la sua capitale, batteva una moneta propria che aveva come effigie una canna mossa dal vento, richiamo – appunto – al lago e alla sua vegetazione. E’ possibile, quindi, che Gesù intendesse riferirsi proprio a colui che deteneva il potere o, più genericamnete, a coloro che abitano i palazzi del potere…, pronti a cambiar bandiera al momento opportuno.
– Al v. 27 notiamo come Gesù riferisca a se stesso e alla sua opera quello che in Malachia era riferito a Dio: “preparerà la via davanti a me”. E’ pienamente consapevole, quindi, del proprio compito nel disegno di Dio e della propria relazione con Lui.
– Al v. 28, si fa riferimento a due diverse categorie di persone: “i nati di donna”, e tutti lo sono, e gli appartenenti al “regno di Dio”. Noi rientriamo, per grazia, in entrambi i gruppi; siamo tra coloro che hanno Dio come “re”, cioè coloro dei quali Lui si occupa per averne cura, per proteggerli, guidarli…
Gesù ci fa notare con drammatica evidenza come sia possibile restare totalmente inerti, passivi, addirittura ciechi, contrari, alla sua visita. “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. Tutto appare vano per la nostra incapacità di essere piccoli nel suo Regno, di riconoscerci peccatori, bisognosi del suo battesimo, di essere figli.