11 In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. 12 Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». 14 E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». 15 Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. 16 Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». 17 La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.
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Osserviamo l’incontro tra questi due cortei: quello di Gesù con i suoi discepoli e molta folla, e il corteo funebre di un uomo morto, accompagnato dalla madre e da una folla di loro concittadini. E’ un’immagine molto bella dell’incontro tra la comunità messianica e la storia dell’umanità. Ieri l’incontro era con il mondo pagano, oggi è con il dramma misterioso della morte.
Il solo Luca ci regala questa memoria. Ricordiamo che l’evangelista ci sta mostrando l’orizzonte cui si rivolge il Signore del Vangelo e la comunità che si raccoglie intorno a Lui. Ieri era per dirci l’universalità della fede, che varca i confini dell’ebraismo e di ogni appartenenza religiosa, etnica, culturale…Oggi per dirci che neppure la morte segna il confine e il limite del dono di Dio. Tale dono è più grande e potente della morte stessa.
Nella potenza simbolica di questo episodio, richiamo la vostra attenzione sulla figura di questo morto “figlio unico” e su quella della madre “vedova”. Il figlio unico mi ha richiamato l’unicità del Cristo Figlio unigenito di Dio. La donna, privata dello sposo e ora anche del figlio mi ha fatto pensare all’umanità, sola e desolata. Notiamo come l’attenzione misericordiosa di Gesù si rivolga direttamente a lei: “Vedendola, il Signore ne ebbe compassione…” (ver. 13). La risurrezione del figlio unico e il particolare “…Egli lo diede alla madre” sembrano confermare l’implicito annuncio da parte di Gesù che questa è l’opera che Egli è venuto a compiere: salvare l’umanità piegandosi su di lei e restituendole il Figlio di Dio liberato dalla morte.
E’ interessante anche il legame tra risurrezione e parola: come se la morte fosse la privazione della parola, e quindi la risurrezione si manifestasse in questo “si levò a sedere e incominciò a parlare” (ver. 15). L’espressione “..lo diede alla madre…” può suggerirci un riferimento al testo di Giovanni 19,25-27 quando Gesù dalla Croce sancisce il patto d’amore tra la madre e il discepolo prediletto come segno di una nuzialità ritrovata tra Dio e l’umanità.
La grandezza clamorosa del miracolo – una risurrezione da morte! – non stacca l’evento dall’attesa profetica di Israele, ma ne è segno e compimento; così al ver. 16.
Ieri abbiamo visto che Gesù guarisce non per mezzo medicine, ma neanche per mezzo di altri sistemi, ma solo con la sua parola: “Dì con una parola e il mio servo sarà guarito”. Oggi, il figlio unigenito della vedova, pure lo risuscita con la sua parola: “Giovanetto, dico a te, alzati”. Vengono però narrati due atti di Gesù che precedono la sua parola: la compassione per la madre e il toccare la bara. E’ dunque una parola compassionevole e che si fa partecipe della nostra condizione mortale.
Quanto Gesù dice alla vedova: non piangere, raccoglie tante testimonianze profetiche su Dio che consola e asciuga le lacrime dei suoi figli, soprattutto di quelli più derelitti. Un altro intervento ha accostato la parola di Gesù capace di placare il pianto della vedova alla potenza della sua parola che calma la tempesta e ridona al mare la quiete.
“E lo diede alla madre”, ricorda quanto viene detto di Abramo e del figlio Isacco nella lettera agli Ebrei: “Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti, perciò lo riebbe e fu come un simbolo”
Al v. 16 la gente coglie, seppure non completamente, la portata di quanto è avvenuto, soprattutto il fatto che in Gesù Dio ha visitato il suo popolo; e che quindi le viscere di misericordia di Dio si fanno manifeste nelle viscere di moisericordia di Gesù. Già Zaccaria nel suo canto aveva collegato le viscere di misericordia di Dio con il suo visitare il popolo per mezzo del suo Messia (1,78)
Lo scrittore, nel raccontare l’episodio, si ispira al libro dei Re e riprende i prodigi di Elia: ci suggerisce, quindi, che Gesù è il vero Elia, il profeta che dice le parole di Dio e compie interventi prodigiosi. A questo punto, però, ecco la sorpresa: a Gesù è attribuito, per la prima volta nel vangelo di Luca, l’appellativo di “Signore”. L’appellativo nell’AT era riferito solo a Yahvé; ora, la comunità pasquale riconosce in Gesù il suo Signore: non solo un grande profeta, ma il Figlio di Dio venuto a condividere il nostro destino per comunicare a tutti una vita capace di superare la morte.
Anch’io ho ricordato il testo di ieri dove il centurione diceva “Signore di una parola e il mio servo sarà guarito”. A Naim la desolazione è grande: è morto il figlio unico di un vedova! E molta gente le è vicina. Gesù parla alla donna e al giovinetto e lo resuscita e la parola, unica, di salvezza comincia a diffondersi, di bocca in bocca, di villaggio in villaggio: il risorto parla, la gente glorifica il Signore e questa parola (v. 17 it: la fama) esce e verso tutta la regione…