7,1 Quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao. 2 Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. 3 Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4 Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, 5 perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga». 6 Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; 7 per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. 8 Anch’io infatti sono uomo sottoposto a un’autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all’uno: Va’ ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa». 9 All’udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». 10 E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
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Se il cap. 6 ha annunciato l’elemento sostanziale della fede di Gesù, e cioè quella salvezza che Israele attendeva dalla misericordia di Dio e che ora si attua pienamente in Cristo, il cap. 7 vuole definire, mi sembra, l’estensione di quest’opera divina di misericordia e di salvezza. Nei primi dieci versetti viene narrata la vicenda del centurione di Cafarnao, questa cittadina di pescatori, posta al confine segnato dal Giordano, tra la terra di Israele e le genti, luogo che Gesù ha eletto sua nuova patria. Luogo abitato non solo da ebrei, ma anche da stranieri.
Un centurione, un pagano quindi, un soldato, lo manda a cercare per la vicenda di un servo gravemente ammalato. Già qui si presentano elementi di riflessione di grande spessore. Si vede bene che l’orizzonte della fede ebraico-cristiana non è solamente un insieme di credenze e di riti, ma è soprattutto il confronto che l’umanità come tale vive quotidianamente e dappertutto con il mistero e il dramma del male e della morte. La fede riguarda l’umanità in quanto tale, al di là e prima di ogni considerazione di merito e di appartenenza. Uno straniero pagano cerca Gesù e lo interpella come Colui che può affrontare e risolvere il problema del male!
Una nota gentile che caratterizza il testo di Luca rispetto ai paralleli di Matteo e di Giovanni, sottolinea la partecipazione ebraica all’avvenimento: gli anziani dei Giudei, ai vers. 3-4, intercedono per questo straniero, citando la relazione positiva che egli ha intrattenuto con loro, e il suo affettuoso legame con la popolazione. E’ un dato puntuale, ma vi si può cogliere anche un elemento strutturale: è infatti il popolo della Prima Alleanza quello che riceve, custodisce ed esprime questa attesa universale di salvezza come realtà universale, più o meno consapevole.
Il cuore del nostro brano è quello che pone al centro l’esperienza di questo centurione in quanto uomo di obbedienza, sia pur militare, e anche la sua carica di responsabilità nell’esercito romano: un capo, a sua volta dipendente da autorità superiori. Tutto questo serve a introdurre il tema fondamentalissimo della Parola! A questo proposito notiamo come vengano allontanati con cura elementi che potrebbero evocare miracolismi tipici delle “religioni”, o addirittura poteri magici. L’episodio è volutamente scarno. Notiamo che il centurione non si incontra di persona con Gesù: prima manda dei giudei per informarlo (vers. 4-5), poi manda degli amici per fermarlo (ver. 6). E’ molto importante anche la sua “confessione” di indegnità, che contemporaneamente afferma due cose: la prima è che egli non pensa a riti e procedimenti che possano renderlo “degno”, e semplicemente si confessa indegno; la seconda è che peraltro egli esprime e proclama la sua assoluta fede nella parola di Gesù, una parola che può e vuole raggiungere ogni persona e ogni situazione, e quindi anche il livello più malato e inadeguato della vicenda umana.
E qui il centurione proclama la sua fede nella parola di Dio, a partire dall’esperienza che egli ha della parola umana. Una parola che di per sé esige un legame tra quello che viene detto e quello che in conseguenza accade. L’ “obbedienza” del sottoposto alla parola di chi gli è superiore diventa il paradigma e la “parabola” della potenza della parola del Signore! Noi possiamo commentare le parole del centurione dicendo che egli ha intuito che come questa Parola ha creato tutto, ora può e vuole, in Gesù, salvare tutti e tutto! Fede nuda, senza prove e segni. Fede non in una parola “magica”, ma fede in Colui che la dice. Una certa potenza della parola nelle relazioni gerarchiche umane diventa ora la scoperta della potenza assoluta di Chi è prima di tutto e di tutti.
Nella sua ammirata lode per la fede del centurione Gesù vuole legare questa fede alla fede di Israele, perché qui sta il cuore della fede ebraico-cristiana! E nello stesso tempo si compiace di proclamare e sottolineare che la fede non è riservata e limitata nei confini di un’appartenenza, ma appunto riguarda e chiama l’intera umanità.
Nel testo parallelo di Giovanni, cap. 4, c’è un verbo ripetuto, che può essere considerato la parola-chiave del brano: “scendere”. Qui in Luca, invece, è tutto un “via vai”: chi manda, chi va, chi viene, chi entra… In tutto questo movimento, “Gesù si incamminò…” per andare a guarire. Possiamo pensare che Egli sia continuamente in cammino sulle nostre strade, accanto a noi, in questa faticosa sfida contro il male e la morte. Il brano odieno sottolinea anche che non è necessaria la sua presenza fisica: basta “la Parola”. – Leggendo il Vangelo quando ero ragazzo, rimanevo perplesso di fronte al discorso del centurione: Io dico va, ed egli va; dico vieni, ed egli viene… E’ una bellissima affermazione dell’autorità piena, illimitata di Gesù, che la esercita per noi beneficamente, per la nostra salvezza.
ll testo sembra sottolineare, nella narrazione e nelle parole del centurione, che in un modo o nell’altro tutti si è sotto l’autorità di qualcun altro. C’è però una annotazione importante che dà a questa situazione una prospettiva nuova, in certo senso redenta: “L’aveva molto caro”. Questo riporta a passi della Scrittura che riguardano il rapporto di Dio con il suo popolo, e in ultima analisi con il suo Messia: Salmo 115 “Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli. Io sono tuo servo Signore…”; e in Isaia “Tu sei prezioso ai miei occhi”.
Il ricoscersi indegno porta il centurione a coinvolgere nella sua perorazione a Gesù per il suo servo, anche altri; innanzitutto gli anziani dei Giudei, con tutte le implicazioni che vi si possono leggere riguardo al rapporto tra le nazioni e Israele, poi gli amici, che diventano voce della sua confessione di indegnità e di fiducia nella potenza del Signore. E’ dunque una fede che “opera” atti di comunione.
Il paragone del centurione tra la condizione di Gesù e la sua, è evidentemente tutta volta a evidenziarne la grande differenza di poptenza. Così quando dice “dico al mio servo fa e egli fa”, si può anche comprendere un riferimento diretto al suo servo malato e vicino alla morte. Adesso bisogna proprio che un altro, e non il centurione dica, “Fa”, così che egli faccia; e in effetti la Parola “è fatta”; il servo guarisce. Si capisce forse meglio la portata dell’ammonizione del passo precedente: “Perchè mi chiamate Signore Signore, e poi non fate ciò che dico?”; non è una carenza di capacità dovuta alla nostra debolezza, ma una carenza di fede nella potenza della parola che opera.
mi ritrovo molto nel commento fatto dai mapandesi. Il centurione è un capo, che dice, ordina, chiede… è uno che vuole bene al suo servo, che ha stima e fiducia negli ebrei della città tanto da costruire la sinagoga ed è molto umile nel chiedere l’aiuto di Gesù. Questo di relazioni così attuali e presenti nella nostra vita sono oggi illuminate dalla presenza buona, attenta, ammirata, sanante di Gesù.