43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
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Il quesito che ci pone questa piccola parabola è l’identificazione dell’ albero buono (o cattivo), come immagine dell’uomo buono (o cattivo). Mi arrischio ad indicare un’ipotesi che ognuno di voi correggerà con la sua preghiera. Per tutto quello che abbiamo ascoltato, non sembra di poter identificare un uomo che sia “buono” in se stesso. Gesù stesso, nel suo incontro con un uomo ricco che lo chiama “maestro buono”(Lc.18,18-23), affermerà che “nessuno è buono se non Dio solo”. L’ipotesi dunque della bontà si collega forse alla “relazione” che ognuno può stabilire, con Dio stesso, con la sua Parola, con la Persona di Gesù, con altre persone…Così mi sembra possiamo cogliere negli incontri che finora abbiamo fatto con diverse figure del Vangelo, a partire dalla fanciulla di Nazaret. Se vale questa ipotesi, la bontà si manifesta e si compie in stretta connessione con la relazione.
L’altro elemento forte per l’identificazione di questa “bontà” è il verbo “fare”. Il fare, e qui come è reso in italiano il “produrre”(ver.43) e il “trarre fuori”(ver.45), dice tutta la concretezza che la tradizione biblica assegna alla “bontà”(o alla cattiveria). Una concretezza che nasce però dal cuore, e rivela quale sia la qualità del cuore, come il frutto rivela la qualità dell’albero che lo produce. Questa fonte del cuore sembra richiamare il tema della conversione. Per il nostro cammino fino ad oggi nel Vangelo secondo Luca, esprime bene l’incontro con Gesù, e quindi la conversione a Lui o il rifiuto di Lui.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.