26 Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: 27 mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. 28 Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; 29 ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. 30 Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. 31 In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. 32 Ricordatevi della moglie di Lot.
33 Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.
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Il nostro testo, con la memoria dei due grandi eventi legati uno a Noè e l’altro a Lot, parola che quando potete è prezioso andare a riascoltare, pone la radicale diversità tra una vita sia personale che collettiva, che nulla attende, e una vita che vive nella tensione di un’attesa. In questa memoria ci sono due verbi molto importanti: al ver.27 il verbo “entrare”, quando dice di Noè che “entrò nell’arca”, e al ver.29 il verbo “uscire”, quando dice di Lot, che “uscì da Sodoma”. Si tratta di uscire da una città perduta e di entrare nell’arca della salvezza. Ora, la vita può essere vissuta in due interpretazioni diverse e in certo senso opposte tra loro. Una, quella che chiameremo “mondana”, è una vita dove tutto quello che accade e che si fa è come una ruota che si ripete e che ritorna sempre su se stessa: “mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito”(ver.27), “mangiavano, bevevano, vendevano, piantavano, costruivano”(ver.28). L’altra interpretazione della vita è vivere tutto nella tensione-attenzione verso un evento. Per la nostra fede ebraico-cristiana è l’evento per il quale si entra nella salvezza e si esce dalla condizione perduta del male e della morte.
In questa attesa-vigilanza la vita assume un carattere fondamentale di riferimento ad un avvenimento che la condiziona interamente. Anche i discepoli di Gesù mangiano e bevono, si sposano e costruiscono…ma tutto quello che vivono e fanno è sempre celebrazione e attesa dell’evento che attendono: la gloria finale del Figlio dell’Uomo. La glorificazione dell’umanità nel mistero del Figlio di Dio che è venuto per donare all’intera umanità la paternità di Dio, sottraendola al dominio del male e della morte. E’ dunque un modo radicalmente nuovo e alternativo di vivere, di sposarsi ,di costruire, di comperare e di vendere…Questa attesa, dice il ver.31, deve essere senza ritorni indietro e senza pentimenti. Viene citata la moglie di Lot, che si è voltata indietro verso la città perduta, ed è diventata una statua di sale (Genesi 18). Questo è il significato delle due immagini del “non scenda a prenderle” riguardo alle cose lasciate in casa, e del “non torni indietro” per chi si troverà nel campo. Un’attesa, dunque, senza distrazioni. Possiamo capire che c’è quindi uno sposarsi e uno sposarsi, un costruire e un costruire, diversi per l’intenzione profonda che li governa.
Al ver.33 è bellissimo quel verbo reso in italiano con “la manterrà in vita”, ma che alla lettera significa “dare la vita, generare”. Dunque chi “perderà la sua vita” la genererà, genererà la sua vita nuova! Né si muore, né si continua a vivere, ma si genera la vita nuova. Di questo facciamo esperienza ogni giorno quando, uscendo dalla nostra dimenticanza del dono di Dio ritroviamo il senso profondo della nostra vita come tesa verso la vita nuova in Dio.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il commento 2007 (Lc 17,22-37)
https://www.famigliedellavisitazione.it/lc-1722-37.html
“Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva”. Abbiamo qui delle espressioni linguistiche che spesso usiamo e che hanno in noi una profonda risonanza emotiva. Perdere la vita (e quante volte abbiamo detto queste parole con rammarico, con dolore per qualcuno che “se ne era andato” in tragiche circostanze), salvare la vita (e tante volte ci siamo rallegrati per uno scampato pericolo, nostro o di persone care)… Gesù capovolge il nostro modo di sentire e pensare: perdere la vita donandola, dedicandosi al benessere di chi ci sta accanto o può contare solo su di noi, produce una piena realizzazione e dà un vero senso di felicità. Perdere così la vita non è solo conservarla, salvaguardarla, ma – come spiega don Giovanni – è “dare la vita, generarla”. “Né si muore, né si continua a vivere, ma si genera la vita nuova”.