11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20 Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22 Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
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Chiaramente il trasferimento della parabola dalle immagini della pecora e della moneta alla vicenda del padre e dei suoi due figli genera una grande complessità di elementi, che tuttavia non ci impediscono di collocare quest’ultima nello stesso orizzonte. La “parola chiave” è per le tre parabole quella del perduto-ritrovato. L’elemento di grande novità e di grande rilievo è nella parabola del padre e dei figli quello della libertà. Più forte e consapevole è la relazione che unisce le persone, più forte, anche se non esplicitato, è il rilievo delle scelte che si fanno. Possiamo quindi dire subito che certamente l’esercizio più grande di libertà è il padre a compierlo, mentre per i due figli si possono cogliere elementi di maggiore dipendenza, anche se diversi e addirittura opposti nell’uno e nell’altro.
Oggi noi consideriamo la vicenda del figlio più giovane. Egli certamente prende una decisione che nessuno gli impone, ma è evidente che c’è qualcosa che lo trascina via dalla casa del padre, ed è sia la parte del patrimonio che egli richiede, sia lo sperpero di tutto in una vita dissoluta. Al punto che, per la drammaticità dell’esperienza e per il bisogno impellente di trovare scampo, di lui si dice che “ritornò in sé”(ver.17). Il peccato non è solo una azione o una condizione negativa, ma è anche e soprattutto un “perdersi”. Come la pecora e come la moneta anche quest’uomo è “perduto”. Dico questo, perché mi sembra che si debbano notare “due tempi” nel suo ritorno: un ritorno da “servo” e un suo essere ritrovato come “figlio”.
Se infatti consideriamo il corso dei pensieri e delle decisioni di quest’uomo, non possiamo ignorare che a portarlo verso casa è la fame, e la prospettiva di tornarci come “servo”. Notate le parole del ver.19 che saranno riprese al ver.21: “Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. La fame gli fa considerare che i salariati del padre “hanno pane in abbondanza”, e lui si prepara a dire al padre: “Trattami come uno dei tuoi salariati”(ver.19).
Ma solo il padre potrà ritrovarlo come figlio! Lui, che non lo lascia nemmeno arrivare, perché “quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”(ver.20). Questo è l’evento supremo: lui pensava di trovare un padrone, ma il padre ritrova lui come figlio! Questo è il “miracolo” che ora esige la grande festa che il padre indice per questo ritorno. Egli vive la vicenda in termini ben più drammatici e profondi, espressi con le parole del ver.24, parole che saranno riprese più avanti, al versetto ultimo della parabola (ver.32): “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Da chi, se non dal padre, è stato ritrovato?
Mi sono dilungato in queste osservazioni, perché mi sembra importante che anche questo figlio sia “ritrovato”, come la pecora e la moneta delle precedenti immagini. Se quindi da una parte è chiaro che anche nel figlio perduto ci sono condizioni per decidere un ritorno alla casa del padre, è solo quest’ultimo che può ritrovarlo, reintegrarlo e addirittura enfatizzarne la nuova condizione, proprio perché trasforma la cattiva avventura di suo figlio in un’occasione per dargli un onore del tutto nuovo. E’ inevitabile pensare che ora, in certo modo, questo figlio si “più figlio”, proprio per la sua esperienza di morte e risurrezione, di perdizione e di redenzione.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il commento 2007 (Lc 15,11-32):
https://www.famigliedellavisitazione.it/lc-1511-32.html
Mi è sembrata importante la frase del v.16 “ma nessuno gli dava nulla”. È da questo momento infatti che il figlio perduto ritorna in sé e decide di ritornare dal padre. In fondo spendere tutto, ritrovarsi nel bisogno, cercare lavoro… sembrano cose abbastanza normali e sane per un giovane che deve crescere. Quello che non può mancare invece è il dono. Anche noi non possiamo vivere se non riceviamo dagli altri. Amore prima di tutto e poi il resto.
Colpisce infatti che il padre lo riempia subito di regali: il vestito, l’anello, il vitello grasso, la festa e soprattutto il suo affetto paterno! Tutto per lui, immeritato, gratis!
Domani ritroveremo il “donare” nelle parole dell’altro figlio, che protesterò dicendo: “tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici”.