13 Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». 16 Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».
Seleziona Pagina
Uno sguardo al testo precedente, con il quale siamo entrati nel cap.12 di Luca, ci confermerà riguardo all’impostazione radicale che l’Evangelista sceglie per questa sezione, che contiene diversi passaggi, come è per il nostro testo di oggi, che sono solo suoi e fortemente caratterizzanti il discorso lucano. Mi sembra importante fissare a questo punto un criterio interpretativo per questo capitolo, esposto altrimenti a ipotesi devianti. Possiamo dire che al centro dell’attenzione evangelica sta ora l’implicazione assoluta del rapporto con Dio. Ogni verità, ogni giustizia, come ogni prospettiva di speranza, si misurano nella verità e radicalità di questa relazione.
Per quanto dunque riguarda i vers.13-14, non condivido la spiegazione della nota della TOB che vede nella reazione di Gesù alla richiesta di intervenire, il suo rifiuto ad occuparsi di questioni materiali, e coglie in questo una differenza con il compito di giudicare questioni della vita quotidiana come era per Mosè e i giudici della Prima Alleanza. Il problema non sta nel fatto che Gesù non vuole essere giudice e mediatore; questo contradirebbe tanti interventi suoi. Il rifiuto di Gesù riguarda un problema molto più grave e delicato, e cioè che si pensa di regolare e risolvere questioni tra le persone prescindendo dalla relazione fondamentale con Dio. La mediazione e il giudizio cristiano in ogni vicenda umana dipendono dalla relazione che Dio ha portato a pienezza con la presenza in mezzo a noi del Figlio: essa porta a compimento quello che già era presente nella preparazione e nella profezia dei padri ebrei, e fa di tutta l’esistenza la grande storia del “Dio con noi”, di un’unica grande famiglia ormai riunita intorno a Lui. Non ci sono più giustizie puramente “umane”. Non ci si può più limitare a criteri razionali per vedere ciò che è giusto e buono. Tutto ormai si decide di fronte e dentro al dono di Dio che è il Signore Gesù Cristo in mezzo a noi, e presente in noi con la dolce potenza del suo Spirito di Verità e di Pace.
Quando al ver.15 Gesù parla della negatività pericolosa della “cupidigia”, fa uso di un termine che intreccia in sè il significato dell’abbondanza e quello dell’inganno e dell’aggressività. In questo sentimento non c’è posto per Dio, perchè l’animo è interamente afferrato dalla sua stessa cupidigia, e a Dio si è sostituito l’idolo che ormai governa ogni pensiero e sentimento dell’uomo.
Qual’è allora il senso profondo della parabola dei vers.16-21? E’ la condanna della drammatica “solitudine” di quest’uomo ricco. Il suo dramma sta nel fatto che egli “non arricchisce davanti a Dio”! In questa espressione possiamo ragionevolmente pensare che non si tratti neppure di un discorso su buone opere di carità che sarebbero meritorie presso Dio, ma semplicemente della relazione con Lui, della comunione con Lui. Sarà il cap.16 (provate a dargli un’occhiata) a sviluppare tutto il tema del rapporto tra ricchezza e carità. Qui io lascerei l’insegnamento di Gesù raccolto intorno alla novità assoluta che la piena presenza del Signore nella vita umana porta con sè. La sciagura di questo povero-ricco è quella di morire lontano da Dio e lontano dagli uomini:”..quello che hai preparato, di chi sarà?”(ver.20). E ancora dalla conclusione:”Così è di chi accumula per sè(!) e non arricchisce davanti a Dio”(ver.21).
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Della parabola mi colpisce l’aggettivo “mio” ripetuto tre volte in due versetti, 17-18. E ancora, al v.19, “me stesso”, “anima mia”, che sottolineano la profonda solitudine di quest’uomo, l’orizzonte egoistico della sua vita,il suo fallimento. La parabola è per tutti, anche per noi che magari ci sentiamo liberi dalla brama del possesso di beni materiali. Ma abbiamo comunque qualcosa di gelosamente nostro, a cui teniamo, quello che noi pensiamo sia la nostra realizzazione personale. Mi ritornano in mente le parole di Lc 9,24-25. Salvare la vita, perdere la vita. Imparare a perdere la vita è il dono e il compito che ci viene offerto ogni giorno.