padre marellaArticolo di Giovanni Nicolini in “Jesus” n. 1 del gennaio 2009

Strade con nomi antichi nel cuore di Bologna: Caprarìe, Drapperie, Pescherie, Calzolerie. A un incrocio, davanti alla più celebre salumeria della città, un posto storico. È la vicenda di un prete mendicante del secolo passato: Olinto Marella, un veneto di Chioggia, che provoca il cuore dei bolognesi stendendo il suo logoro cappello per mantenere i ragazzi che raccoglie dalla strada e vuole generare e nutrire verso un futuro di lavoro e di serenità. Chiede l’elemosina dappertutto.

Ma quell’angolo di strada tra le vetrine diventa, ed è tuttora, il luogo storico di una testimonianza di umile povertà e di carità senza confini che tutta la città, credente e non credente, continua ad ammirare e ad amare. Dopo di lui altri hanno coraggiosamente continuato la sua opera. E "il posto di padre Marella" è ancora oggi l’umile santuario di una straordinaria memoria di carità cristiana. Per anni quel luogo e quel segno di fede e di amore hanno accompagnato i miei pensieri e la mia povera preghiera.

Alla fine ho chiesto, a chi di padre Marella porta avanti il dono e la testimonianza, di poter anch’io andare a "chiedere la carità". Quando posso, ogni martedì. La mendicità è un volto poco conosciuto e molto importante della nostra fede e della nostra sapienza. La mendicità è il povero che grida il suo bisogno. È il grido che Dio ascolta e che lo porta a piegarsi sui suoi figli più cari.

Così sono anch’io seduto a mendicare, con il cappello di don Marella in mano. Per una vicenda che mi porta molto al di là di quello che pensavo e cercavo. Consapevole di "usurpare" una condizione che non merito e non mi appartiene, scopro lì un tesoro straordinario. Il cappello si riempie dell’elemosina di chi, ricordando il vecchio prete mendicante, s’incontra, spesso senza saperlo, con il mistero di quel Dio che si è fatto mendicante alla ricerca di una sposa amata e perduta. Una sposa che Egli riconquista seduto al pozzo della mendicità quando dice alla donna samaritana: «Dammi da bere». E sarà così sino alla fine, sino a quel «ho sete» della Croce che adempie le Scritture e lo offre al Padre per la salvezza dell’intera umanità.

Ma con ancor più grande stupore scopro che chi si ferma a mettere qualcosa nel cappello non è solo donatore, ma anche – e soprattutto – lui stesso mendicante. Con poche parole, spesso tra le lacrime, mi affida la sua pena, la sua povertà, il suo dolore. Forse il vero "tesoro del campo" è proprio questo: una reciprocità dell’affetto che consente a tutti di celebrare il gesto di Chi ci ha lavato i piedi e ci ha chiesto di lavare l’uno i piedi dell’altro. Perché ognuno ha bisogno dell’altro. E ciascuno può chinarsi verso l’altro, per ricambiare la carezza di Dio.