…Ormai penso che ci siamo abituati così. Lavoriamo molto, lei forse più ancora di me. Io sto a Bologna e lei a Modena. Ci vediamo ogni mercoledì sera e poi il sabato e la domenica. Così ormai da quasi vent’anni. La durata della cosa mi fa pensare che ci vogliamo davvero bene. Nessuno dei due ha mai sentito il bisogno di qualcun’ altro o altra. Ci telefoniamo ogni mattina e ogni sera. Nelle nostre città ognuno ha le sue conoscenze e le sue amicizie. I nostri amici sanno della nostra relazione anche perchè nei fine settimana si è spesso insieme ad altri : al mare, o a sciare.. Ma il matrimonio non è mai venuto. Non so se in un angolo del nostro cuore, ora io ora lei, lo desideriamo, ma forse non vogliamo disturbare l’altra persona con ipotesi di cambiamento che sembrano apparire ogni giorno più difficili….Lettera firmata.

Caro amico, la sua lunga lettera fa capire benissimo la vostra situazione; e la strada che state percorrendo, si direbbe, ormai da una vita! Da ragazzo avevo conosciuto una vicenda simile alla vostra, e anche più singolare. Lei viveva a casa del padre del suo uomo, e gli voleva bene, e lo circondava di ogni affetto; e lui a sessanta chilometri, in un’altra città. Vivevano il loro rapporto in termini assolutamente singolari, proprio come amanti. Ma sa qual’è il volto estremo della faccenda? Erano sposati del tutto regolarmente!| Però sentivano il bisogno di vivere la loro unione nell’orizzonte del "proibito". Ricordo una sera: avrò avuto diciott’anni, ero con amici sul lago di Garda, nella sala da ballo di un albergo. E vidi loro, gli sposini segreti – allora andavano già verso la sessantina – appassionatamente abbracciati nelle note di un tango famoso. Le scrivo queste cose con un sorriso. Però le confesso che quando la signora, dalla quale riparavo la mia poca disposizione per la matematica liceale, mi raccontava la loro vicenda, mi sembravano un po’ matti. Adesso, con Lei, e davanti al suo scritto così divertente e cordiale, provo a dire qualcosa di più impegnato. La paura di stabilire un vincolo senza poi saperlo mantenere, nel clima culturale in cui viviamo, è comprensibile. Proviamo però a cercarne qualche ragione più profonda e magari meno evidente. A me sembra che , quasi inconsciamente, una vicenda come la sua riveli la paura per la nostra stessa "ricchezza". Ricchezza quale? Quella di un consumismo che arriva anche a pieghe profonde del nostro animo e ci induce incessantemene a cercare realtà e soddisfazioni sempre nuove e diverse. In questo orizzonte anche i sentimenti più profondi sono esposti a grandi fragilità. Il rischio è che ci stanchiamo di tutto e di tutti. Quando cammino insieme a giovani che si preparano al matrimonio, cerco di raccomandare, tra le prime attenzioni, la custodia della povertà. Quella "povertà dello spirito" che è la prima di tutte le Beatitudini evangeliche. Quella povertà interiore che ti fa vedere sempre la bellezza delle persone, degli avvenimenti, dei luoghi…Se ti custodisci povero anche la persona che la vita – io dico il Signore – ti ha regalata, ti sembrerà sempre più preziosa, sempre più desiderabile, sempre più nuova. Mi colpiva il semplice fatto che la mia mamma, che pur se ne andò vecchia da questo mondo, mi sembrava sempre giovane, e soprattutto sempre molto bella. Le vecchie mi sembrano vecchie. Ma la mia vecchia mamma continuava ad affascinarmi per la bellezza sottile e delicata della sua persona. Se ci si tiene poveri, vedere la persona della propria vita due volte alla settimana è troppo poco. Ancora dei miei genitori posso dire che si sono amati affettuosamente sino alla fine. Ricordo quando in casa il papà ci chiamava da una stanza dove era in poltrona; e la mamma, seduta su un bracciolo della medesima, a dargli bacetti sulla pelata. E lui, tutto contento, a dirci:"Ragazzi, guardate la mamma, come è affettuosa questa sera". Non posso che augurarle un cammino fatto così; fatto di un volersi sempre più bene. Buona Domenica. d.Giovanni.