1 Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. 2 Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: 3 «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. 4 Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. 5 È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? 6 Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? 7 Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?
Isaia 58,1-7

Commento delle Famiglie della Visitazione:
Il profeta deve alzare la voce; la sua voce è come quella del corno sacro, lo shofar, che chiama al combattimento spirituale, soprattutto a quel combattimento spirituale che è il pentimento, il ritorno a Dio di chi confessa la sua lontananza e perfino la sua stessa incapacità di vedere il proprio peccato e di pentirsi. Colpisce che la Parola di ammonimento del profeta si rivolga ad un popolo che ritiene di stare ricercando Dio: “mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia”. Dio non nega che ci sia questa ricerca di Lui da parte del popolo. Tuttavia la verità di questa ricerca è posta in discussione ed appare dunque un grande atto di misericordia da parte di Dio il fatto che il profeta sia mandato ad esortare il popolo per raddrizzarne il cammino e liberarlo dalla sua illusione religiosa. In questo la preghiera del popolo è esaudita. Ma cosa più dispiace a Dio’? Il testo biblico sembra suggerire che la punta del problema è che il popolo compie le sue pratiche religiose senza avvertire lo stridore fra questa sua ricerca di Dio e l’ingiustizia che pratica, soprattutto quella verso i poveri. Il problema non è che il Signore venga ricercato da peccatori, che fanno fatica a voler bene al prossimo, ma proviene dal fatto che questi lo ricercano mettendo fra parentesi il loro essere ingiusti, cioè separando religione e storia, proiettando all’esterno i conflitti, le malattie, le contraddizioni che vivono. Viene spontaneo confrontare questa ricerca di Dio con quella che nel vangelo avviene del Signore in perfetta verità da parte di una massa di poveri, di malati, di peccatori bisognosi di essere salvati. Il popolo appena tornato dall’esilio incontra molte difficoltà per cui digiuna e chiede l’aiuto di Dio: “perché digiunare se tu non lo vedi, mortificarsi se tu non lo sai”. Ma la mortificazione ed il digiuno diventano merito ed incapacità di vedere l’opera di salvezza di Dio se divengono atti “religiosi” e non provengono dalla confessione del bisogno di essere soccorsi dall’altro nella nostra radicale povertà. Di qui proviene la vitale connessione che il testo pone fra la verità del digiuno come espressione di povertà di fronte a Dio e la comunione di vita con i poveri. “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: … rimandare liberi gli oppressi…. Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto, rivestire gli ignudi.” Si può forse dire che come non è possibile amare Dio che non vedi, se non ami il prossimo che vedi, così non si riesce a confessare la propria povertà di fronte a Dio nel digiuno e nella vita se non si passa attraverso la comunione con la povertà del prossimo.