raccolta cipolle

Caro don Giovanni, vedo che Lei, nei suoi interventi sia ecclesiali che laici, tende a mettere in importanza il tema del lavoro. A me pare che molte volte il lavoro voglia dire una schiavitù. E’ una schiavitù dal punto di vista fisico quando il lavoro affatica il corpo, e diventa schavitù mentale quando logora la nostra resistenza nervosa. Non sarebbe meglio esaltare altre parti della vita, come l’amicizia o lo sport, o anche solo il riposo?  Messaggio firmato

Caro amico, sono contento che lei mi ricordi l’importanza di tanti volti della vita, diversi da quello che noi chiamiamo "il lavoro". E resta vero che molte volte il lavoro si svolge in condizioni ingiuste e inaccettabili. Resta però vero anche che questo tema è di fondamentale importanza, almeno nell’orizzonte culturale e spirituale della nostra civiltà. La nostra tradizione sapienziale, sia ebraica sia cristiana, esalta il valore del lavoro  e la sua doverosità. Si deve lavorare per essere partecipi del grande travaglio della fatica dell’umanità. Lo si deve fare, come dice S.Paolo, per provvedere al proprio sostentamento e per soccorrere chi non ne fosse in grado. Anche chi si immerge in una vita di preghiera deve lavorare per gli stessi motivi già detti, e anche a beneficio della stessa preghiera, secondo la grande tradizione che nella Chiesa Occidentale ha il suo genio in S.Benedetto. Io leggo una Piccola Regola di vita cristiana, dettata da don Giuseppe Dossetti, dove si dice che il lavoro deve essere compiuto "con zelo religioso". Più laicalmente possiamo ricordare che il Primo Articolo della Costituzione italiana  dice che "la Repubblica è fondata sul lavoro". Mi è stato insegnato che l’intendimento dei padri costituernti non era tanto quello di esaltare il lavoro inteso marxianamente come produzione di oggetti o di servizi, ma , più ampiamente, come intende la lingua latina il termine "labor", cioè come "fatica". Così è fatica – e quindi lavoro –  quella di un bambino che impara a camminare, o a leggere e a scrivere, come lo è il lavoro in fabbrica e nei campi, come lo è guidare l’autobus o, per l’artista, perfezionare la sua sensibilità e capacità. E’ lavoro, nella nostra bella tradizione dialettale emiliana, anche la sofferenza: di un malato, o addirittura di una persona nel travaglio dell’agonìa, di cui si dice "è un brutto lavoro!". La convivenza civile, dunque, è il frutto del "lavoro" di ognuno, dal più piccolo al più grande.E la tradizione spirituale di ebraismo e cristianesimo pensa in questo modo. Forse più correttamente di chi vede la distinzione tra "vita attiva" e "vita contemplativa", la nostra fede considera la vita sempre "attiva", la considera in ogni modo come quell’ "operare nei talenti" che il Signore dona a ciascuno. Ci sarà chi la vita la spende consumandosi in una incessante supplica al Signore, e chi si consumerà nella cura infaticabile dei più poveri e dei più feriti figli di Dio. L’importante è che sia sempre azione dello Spirito di Gesù in noi e nella nostra umile vita. Poi, nel giorno del Signore, bisogna riposare. E alla fine ci aspetta un riposo senza fine nella luce, nella gioia e nella pace di Dio.   Buona Domenica. d.Giovanni.