Testo della conferenza di Giovanni Nicolini il 28 novembre 2008 nel convegno: Algoritmi – Lezioni per capire e raccontare la società. Oltre i motori di ricerca.

Guarda il video

In ogni notizia c’è un’interpretazione – Credo che la notizia non sia mai una notizia e basta, penso che sia sempre un’interpretazione, anche quella espressa nei termini più semplici, apparentemente più ordinari. In quel momento in realtà tu interpreti, non puoi mai esimerti dall’interpretazione, anche se non vuoi che salti fuori. Tant’è vero che un vecchio ringhioso come me cosa fa? Si diverte molte volte ad analizzare anche una frase sola, per chiedersi che cosa ci sta sotto, da dove viene, quale retroterra ha, quale composizione ha nella complessità della realtà nella quale ci muoviamo. Ricordo che non molti giorni fa in una trasmissione televisiva c’era una signora bionda della politica che tutte le volte che c’era l’intervallo, mi veniva vicino e faceva qualche commento e a un certo punto ha detto: “vede, quando un popolo elegge come suo capo un negro vuol dire che è alla frutta”; tornando a casa non ho fatto altro che tentare di analizzare cosa c’era dietro quelle parole. Questo per dire com’è il vostro lavoro, che secondo me è di estrema complessità. Io ho molti dubbi sul fatto per esempio che ci debba essere veramente una facoltà universitaria per preparare i giornalisti, può esserci diciamo come sostegno tecnico e formale, ma in realtà ognuno di voi porta dentro la sua professionalità, tutta la sua cultura, la sua vita, la sua trama di relazioni. Per me l’esperienza del giornalismo è così viva che io per esempio non leggo volentieri i giornali sullo schermo del computer, mi piace la carta, il rumore che la carta fa, aprire il giornale e ascoltare è sempre come mettersi davanti a un mondo. E’ un grande mondo quello della notizia, è una grande ricchezza di cultura ed il problema è altamente culturale come quello del razzismo.

Lo sdoganamento del razzismo: una vecchia polemica – Razzismo sdoganato come se dovesse succedere adesso no? Forse no, forse è antichissimo lo sdoganamento del razzismo per lo meno nelle sue cause, nelle sue origini profonde. Possiamo cominciare da una polemica sottile e molto delicata, così delicata che è andata pochissimo nella cronaca e nella memoria storica, un fatto risalente a circa 40 anni fa, quella tra Papa Montini e l’insorgere dei movimenti che erano nati prima del Concilio ma che poi dopo l’evento conciliare tendevano ad affermarsi.
Il Papa non guardava questi movimenti con simpatia e scoppiò una polemica che riguardava il rapporto tra la fede e la cultura: i movimenti dicevano che la fede genera necessariamente una cultura e che la fede per incarnarsi nella storia deve generare una specifica cultura della fede.
Il Papa sosteneva invece che la fede è capace di entrare in tutte le culture, eventualmente di entrare in discussione e di modificarle, però di farle anche risplendere in sé stesse e quindi non una cultura, ma l’ingresso in molte culture. Storicamente il Papa ha perso, invece i movimenti sono ancora vivi e la loro concezione del rapporto fede-cultura si è molto affermata. Credo che se noi volessimo esprimere le ragioni profonde dello sdoganamento del razzismo, forse potremmo risalire a questa polemica. Si capisce che sarebbe facilissimo andare ancora più indietro, bisognerebbe per esempio fare un accenno a tutto il fenomeno del colonialismo, ma io sono un frequentatore delle terme orientali e come sapete l’arabo mediorientale ha ancora in mente le crociate, quindi bisognerebbe tornare indietro, indietro, indietro.
Bene, ci fermiamo a questa origine, ha prevalso l’idea che la fede genera una cultura: non ci si è più ricordati il danno immenso che la romanità latina per esempio ha fatto nelle terre africane, importando una chiesa romana in Africa che parlava latino? Di questo, degli orrori del passato ci si è dimenticati, si sono giustificati e si è continuato su questa strada. Oggi ci troviamo davanti a un razzismo sdoganato, si potrebbero cercare tante ragioni, ma io sono prete, quindi provo a guardar dentro la mia ditta e quindi percorro un momentino questa strada e provo a tracciare alcune conseguenze che derivano da questa connessione stretta: la fede deve generare una cultura quindi l’approccio tremendo che si è creato tra la fede e la politica.

Noi e gli altri, dentro e fuori: il risultato dell’abbinamento fede e cultura, fede e politica – Noi abbiamo avuto in Italia, alla fine della seconda guerra mondiale e alla fine della dittatura fascista, un passaggio straordinariamente felice che è rimasto per fortuna scritto sulla nostra Costituzione e i suoi principi fondamentali che hanno avuto come autori privilegiati dei cristiani che hanno fatto risplendere in modo assoluto la meraviglia di una laicità della fede. Non c’è mai nessuna citazione sacrale nei principi della costituzione, mai rigorosamente, ma quella costituzione è piena delle grandi perle della tradizione della fede cristiana. Il dato importante è che in quei principi si sono ritrovati anche uomini e donne costituenti, padri costituenti provenienti da culture diverse e da altri riferimenti ideologici e spirituali, trovando in quella proposta dei principi fondamentali, l’anima profonda del nostro popolo che usciva dalla guerra, usciva dalla dittatura, andava alla ricerca di sé stesso, in quel momento, quello sforzo di laicità è stato riconosciuto ed è passato. È singolare che 60 anni dopo dovendo formulare la costituzione europea, c’è stato tutto quell’affanno per dire che bisognava mettere dentro le radici cristiane, là non erano nominate, qui si sentiva molto il bisogno di nominarle, e quando si sente molto il bisogno di nominare vuol dire che in realtà qualche cosa manca nella sostanza. L’abbraccio quindi tra fede e politica ha dato purtroppo la stura a uno dei grandi nemici della fede cristiana che è la categoria dell’inimicizia; mentre i principi fondamentali della costituzione sono stati un evento di grande convergenza popolare. Ricordo bene come i padri costituenti di una parte e dell’altra protestavano quando qualcuno diceva che la costituzione era stata il risultato di un grande compromesso, ribattevano che era stato il frutto di un grande incontro, dove, usciti in comune dalla guerra di liberazione, forze diverse, pensieri diversi, si erano incontrati ed avevano aderito insieme a grandi principi che avevano trovato nell’animo profondo del nostro popolo. Io ho passato tutta la mia infanzia e la mia giovinezza continuamente con noi e gli altri, noi e gli altri dentro e fuori, dentro e fuori, i bianchi e i rossi, i neri e i rossi e la chiesa ha pagato in modo gravissimo, appunto, l’abbinamento fede-cultura, tradotto nel binomio fede-politica, con l’erezione della categoria del nemico; questo c’entra molto col razzismo.

La ragione controlla la verità di una fede religiosa? – L’altro aspetto sul quale voglio riflettere è molto più vicino ed è l’attuale enfasi che si pone sul binomio fede-ragione: s’invoca la ragione come elemento di controllo della verità di una fede religiosa, si pensa di applicare tranquillamente questo al cristianesimo perché siamo tutti sicuri che sia razionale e lo si esige come controllo per le altre fedi religiose. Quindi in qualche modo, questa volta addirittura il rapporto fede-cultura diventa tale che è la cultura che controlla la fede, mentre invece ricordo che un mio vecchio professore diceva che la fede è il piacere di ragionare più in largo, di ragionare di più.

Fede-scienza: sapere usare il progresso e non farsi usare – L’altro tema di cui si è molto discusso gli ultimi tempi è il rapporto tra la fede e la scienza: noi evidentemente abbiamo un progresso scientifico, tecnologico, al quale non corrisponde una cultura adeguata. Il nostro progresso scientifico corre molto di più e noi corriamo dietro ma non lo possiamo contenere e siccome il progresso va bene finché è usato, sta succedendo che invece di usare noi il progresso, molto spesso è il progresso scientifico e la tecnologia che usa noi. Con stupore osservo la comunità ecclesiale tutta impegnata a trattare questioni sempre più sottili che riguardano una frazione di popolazione mondiale sempre più piccola, senza mettere in evidenza il fatto che, se qui si discute sulla fine della vita di una giovane donna, non si discute affatto sulla realtà che ogni giorno centinaia di persone noi le facciamo morire, perché non facciamo nessuna ricerca scientifica su malattie molto elementari e non mandiamo nessuna forma di aiuto. Io ho delle mie sorelle e dei miei fratelli che vivono in un altopiano dell’Africa dove da due anni il problema psicologico dell’Aids è esploso, perché fino a poco fa era come il cancro quando io ero bambino, non si nominava mai, nei termini più estremi si diceva ha un brutto male, ma non si poteva dire quella parola; adesso però la cosa è esplosa semplicemente perché sono morti tutti. In Tanzania dove noi ci troviamo manca completamente la fascia d’età tra i 20 e i 40 anni, sono morti tutti. Allora questo ha fatto esplodere il problema e davanti alla capanna delle mie sorelle tutti i giorni ci sono file di persone che aspettano perché vogliono provare a far qualche cosa ma non c’è niente. Per fortuna due anni fa una ditta farmaceutica indiana è riuscita a rubare un brevetto e per gente che non ha mai avuto altro, anche quell’unico farmaco è servito, lo compriamo a poco, ma si sa che è solo un cocktail di farmaci, che riesce solo in qualche modo a fronteggiare il male. Sei mesi fa è stato dato un avvertimento ai nostri fratelli da chi se ne intende, avvertendo che questa terapia antivirale a una persona denutrita di fatto agisce contro quella persona perché è troppo debole proprio perché non è nutrita. Quindi sono 6 mesi che noi non diamo più il farmaco e diamo la farina, lo zucchero… Queste cose sono già il razzismo sdoganato senza che nessuno dica niente, nessuno abbia il coraggio di dire niente, si fanno delle grandi crociate, tra l’altro con degli insabbiamenti pericolosi, perché si sta avviando la tesi della sacralizzazione della vita.Si insiste sempre di più per dire che la vita è sacra, ma questo non è vero, non è mai stato vero, anche per le persone di fede la vita è stata sempre altamente disponibile. Forse vi capiterà se abitate in un vecchio paesino italiano che davanti alla vostra chiesa parrocchiale o lì nei pressi ci sia una lapide dei caduti della guerra, che sono gli eroi che hanno dato la vita per la patria. Vorrei vedere oggi chi può andare a dire che è bello dare la vita per la patria, ma certamente la si è resa disponibile per la patria. A Bologna ci sono per esempio tante cliniche e si fanno trapianti a iosa, molti e di grande successo ed è una bellissima cosa fare i trapianti, mica sto dicendo il contrario, però c’è da tener conto che costano esattamente la cifra corrispondente al bilancio del Congo. Allora è bellissimo, ma non possiamo non tener conto di queste differenze abissali. Durante un dialogo con un senatore riguardo al problema del testamento biologico, egli mi chiedeva cosa avrei voluto scrivere nel mio ed ho risposto che vorrei scrivere che vanno bene tutte le cure che mi consentano però di morire tra le braccia della mia famiglia, perché certamente altrimenti si perde il senso della vita. Mi piacerebbe che per esempio io potessi rinunciare al trapianto chiedendo che la cifra che costerebbe il mio trapianto sia mandata sull’altopiano dell’Africa per prendere un po’ di medicinali per i miei amici africani, perché la vita deve essere disponibile e la morte deve essere una consegna serena. Se non teniamo conto di questi dislivelli e di questi drammi di differenza, il razzismo è già sdoganato.

L’anima del razzismo nel tenere i valori fuori dalla storia – L’altra possibile distorsione dell’abbinamento fede-cultura, per tutto quello che riguarda poi l’etica, ha a che fare con la tesi che si è molto diffusa e cioè che i valori più importanti di tutti non sono negoziabili. Si potrebbe di primo colpo dire che forse è giusto, ma una mia sorella monaca che s’intende di filologia, mi dice sempre che il contrario della parola negoziare è la parola ozio, per cui se tu non negozi ti abbandoni all’ozio, lo chiudi nell’armadio, nessuno lo tocca, resta là fermo, ma fuori, fuori dalla storia. Ora la nostra tradizione ebraica e cristiana invece ci presenta un Dio che parla sempre nella storia, va al mercato e negozia continuamente, tant’è che il prodotto che lui vende non viene mai compiutamente recepito e realizzato, perché non c’è nessuno che vive il Vangelo per intero, c’è S. Francesco d’Assisi, bravino, ma per il resto tutti siamo rimandati ad ottobre. Secondo l’Apostolo Paolo bisogna negoziarlo nei posti giusti, ma anche nei posti ingiusti, nei momenti buoni ma anche in quelli inopportuni, perché l’importante è negoziare. Tenere i valori fuori dalla storia vuol dire irrigidire un sistema fuori dalla storia. Questo enfatizza quello che poi provoca l’anima del razzismo e cioè che secondo queste vie, alla fine, o si o no, o sei dentro o sei fuori, ma non è così, la categoria d’interpretazione di questo gioco non è il dentro o il fuori, è la strada. Nessuno è dentro e nessuno è fuori, siamo tutti per strada. Nessuno di noi è arrivato alla terra promessa della resurrezione. Noi stiamo tutti trottando, chi ha fatto i primi passi, chi ne ha fatti un po’ di più, ma stiamo andando tutti insieme, ed è importantissimo pensare che andiamo tutti insieme. Lo spirito sta conducendo tutti verso la verità e siamo tutti in cammino. La verità non è un possesso, è una peregrinazione. Io sono un parroco e la parola parroco vuol dire pellegrino mentre la parola parrocchia vuol dire una quasi casa, deve essere una tenda e domani mattina bisogna tirar via le tende e i paletti e ripartire, perché nessuno è arrivato, nessuno ha la verità in tasca, nessuno, tutti stiamo per strada. Gettiamo un occhio l’uno sull’altro, il valore alto della vostra professione è quello di comunicare come va il viaggio, è d’informare se qualcuno è inciampato ed è meglio che ci fermiamo per aspettarlo, è meglio avvertire qualcuno che si ferma perché crede di essere già arrivato e invece forse anche lui ha un pochina di strada da fare. Grazie.

Guarda il video