Da qualche anno Martino componeva il bel Presepio della nostra chiesa facendolo partire come dall’esterno, dove la grande porta a vetri consente di trovare le prime immagini ancor prima di entrare, e dove già da fuori si coglie tutta la scena di Betlemme e la grotta della nascita. Quest’anno Martino ha portato il presepio dalla parte opposta, sotto la grande Croce dell’abside, e con una “fantasia” che propone un’immagine inconsueta e non priva di fascino.
Ai piedi della Croce, là dove un’antica leggenda dell’oriente cristiano colloca la piccola grotta dove Adamo ha vissuto il suo esilio dal Giardino ed è morto, là quest’anno c’è il luogo della nascita del Signore. L’intenzione non è priva di fondamento, perchè la tradizione iconografica vede scendere nella piccola grotta di Adamo il sangue del Crocifisso: una promessa e un’attesa di vita per l’intero genere umano chiamato a transitare dalla stirpe di Adamo alla grande famiglia dei figli di Dio.
Però l’ingresso della nostra chiesa non è rimasto privo di segni natalizi. Un piccolo camper, piccolo per i nove che vi abitano, ha trovato il nostro assenso per una sosta di qualche mese. Un assenso non unanime, ma progressivamente ben accolto da tutti. Così, in qualche modo, anche quest’anno il nostro presepio comincia lì. Gente da lontano.Gente senza patria. Povera gente. Uno di noi, Giuseppe, è il loro custode e il loro ambasciatore presso di noi. Per tenere un ordine, per ristabilire la pace, per i molti bambini di quella famiglia. Questa sera, vigilia di Natale, il presepio è stato finalmente terminato. Si attende ormai solo la statuina del piccolo Gesù.
Ed è dunque un presepio molto più grande del solito. Un presepio che incominciando dal camper sul sagrato attraversa tutta la chiesa, banco per banco, persona per persona, piccoli e grandi, conosciuti o, come capita in queste occasioni, passeggero e ospite di cui si ignora il nome. E poi, al centro, l’Altare. E infine, sotto la Croce, la grotta di Betlemme. L’immagine del presepio di ieri e la realtà di quello di oggi. La clamorosa povertà del presepio del camper e la nascosta ma non meno profonda povertà di molti tra i banchi della chiesa. Persino il parroco quest’anno è un po’ zoppo.
E in mezzo a tutto e a tutti l’altare dell’Eucaristia, a raccogliere la povertà e il pentimento di tutti, e a portare tutto e tutti nella povertà del Figlio di Dio, lungo la strada breve che lo porta dalla nascita tra gli ultimi fino alla Croce tra i malfattori. Sacrificio d’amore con le braccia aperte. Braccia capaci di accogliere tutti: il nonno ateo che è venuto a far compagnia al suo nipotino, la mamma in pena per quel figlio lontano da lei e dalla pace. L’amico malato che cerca come sciogliere il nodo della sua angoscia, fino ai bimbi, così vivaci all’inizio della Messa e poi addormentati tra braccia accoglienti e calde. Un mondo intero. Il mondo.
E lo stupore di questo Dio che viene a visitarlo assumendone la carne e il dolore. Di questo Dio venuto non per giudicarlo, ma per salvarlo. Questo Dio che del mondo assume tutta la povertà per condurlo verso la pienezza della speranza e della pace. Fino a che punto ne siamo consapevoli? Ma forse neppure di questo Egli ha bisogno e s’attende da parte nostra. Forse la nostra povertà, qualunque essa sia, è il documento necessario di cittadinanza in questa assemblea misteriosa chiamata a vedere nelle tenebre della notte una grande luce.
Don Giovanni Nicolini – 24 dicembre 2010