Entrando a Milano per l’inizio del suo ministero episcopale, aveva voluto scendere dall’automobile molto prima del previsto, e lungo era diventato il cammino verso il Duomo, intento a guardare i volti della gente che lo aspettava. Lo studioso, il maestro, il rettore universitario, prendeva la strada del Pastore. Un cambiamento di tutta la sua vita. L’assunzione di un compito per il quale si poteva facilmente ritenere non essere adatto un uomo immerso negli studi e nella ricerca.

Ma l’occhio abituato a scrutare le Scritture Ebraiche e Cristiane si posava ora con serena confidenza sulla vita della grande città e della diocesi immensa. Pochi mesi dopo, quando imperversava la violenza contestataria che colpiva e “gambizzava”, gli fu chiesto se non era impressionato nel trovarsi nel dramma di un’inimicizia sanguinaria di cui era difficile cogliere l’origine e il senso. Ma l’Arcivescovo, ricordando quel suo sguardo posato sui volti della gente, rispondeva che per lui Milano era come trovarsi con la regina di Saba nelle meraviglie del re Salomone: una realtà piena di meraviglie, che come le grandi meraviglie erano nascoste nel cuore e nella semplice vita di molte persone. Meraviglie che attendevano di essere svelate, appunto come gli enigmi della regina di Saba svelati dalla sapienza di Salomone.

Così, la scienza e la sapienza della Parola di Dio sono diventate nel ministero episcopale di Martini le grandi vie del suo incontro con tutti e con tutto. Dalle migliaia di ragazzi in Duomo per la Scuola della Parola alle personalità spiccate dei non-credenti in quella “cattedra” che è diventata simbolo e modello del desiderio della comunità ecclesiale di incontrarsi e di dialogare con tutti: un dialogo che esige e ama l’ascolto dell’altro come via maestra per comunicare la Parola di Dio e per mostrarne tutta la potenza e l’universalità.

Ho avuto la fortuna di poter vedere più volte il Cardinale che di tempo in tempo desiderava incontrare Giuseppe Dossetti, il mio padre nello spirito, che accompagnavo da lui. Erano passaggi delicati nei quali la strada evangelica che Martini offriva alla sua Chiesa veniva messa in confronto polemico dai mezzi di informazione con la guida della Chiesa universale della suprema autorità magisteriale: don Giuseppe incoraggiava l’Arcivescovo a continuare ad essere l’annunziatore del Vangelo di Gesù al popolo che gli era stato affidato. Questa resta per me la testimonianza suprema resa dall’Arcivescovo di Milano: la sua concentrazione di pensiero, di preghiera e di azione pastorale nella Persona di Gesù di Nazaret come il segreto della sua capacità di aprire con tutti un dialogo di sapienza e di pace.

Tale dialogo si è sempre più dilatato e la stessa conclusione del suo ministero episcopale è diventata occasione di un’apertura senza limiti: il Vescovo è diventato semplicemente “il cristiano tra noi”. Allora ogni tema, ogni prospettiva, ogni questione posta dal vortice di una storia che ogni giorno s’incontra e si scontra con problemi sempre più delicati ha trovato in lui la disponibilità e il dono di un pensiero libero. I suoi interlocutori sempre più affezionati ed assidui sono diventati alcuni grandi protagonisti della cultura laica italiana e straniera. Martini ha veramente mostrato come la fede di Gesù sia alla fine la gioia di poter pensare “oltre”: senza limiti dogmatici e senza restrizioni mentali. Mentre la sua persona fisica s’indeboliva nella malattia, il suo spirito si faceva sempre più aperto ed audace, fino al coraggio di riaprire questioni e problemi considerati già risolti con chiusure e sentenze definitive. Tale è infatti la potenza della Parola di Dio, che non si afferma con sentenze fuori dal tempo, ma che cammina nella storia dell’umanità in un incessante percorso verso la verità tutta intera. Per questo, anche la malattia e, in queste ultime ore, il suo esito finale, sono state grande occasione di un’ulteriore cattedra di sapienza e di passione per la vita.

Quando era ormai necessario pensare al suo ritorno definitivo in Italia, l’ho incontrato a Gerusalemme. Tornava a casa dal Sepolcro di Cristo. Piano piano, salendo i gradini verso Porta Giaffa. Mi impressionò il suo volto che portava i segni di una caduta. Commentava il suo diminuire custodendo con affetto un proverbio della tradizione orientale, secondo il quale ci sono quattro età della vita: la prima per imparare, la seconda per insegnare, la terza per tacere, la quarta per mendicare. Rispetto alle sue aspettative la terza fase è durata poco e si è interrotta impedendo la sua speranza di portare avanti gli antichi studi intrapresi e condotti nella giovinezza. Ora, diceva, è il tempo del mendicare, dove, dopo aver sostenuto tanti, si deve chiedere l’appoggio e il conforto di mani amiche.

Queste mani ci sono state: affettuose, dolci e grate. Anche per questo il Signore gli ha concesso un congedo da noi, un’ultima celebrazione della Pasqua del Signore, nel silenzio e nella pace.

Giovanni Nicolini – articolo apparso su L’Unità del 1 settembre 2012