24 Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25 Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26 Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27 Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28 Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29 Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30 Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34 Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
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Il nostro amico nato cieco, e portato alla luce da Gesù, continua la sua meravigliosa strada di crescita nella fede. Quello che continua a guidarlo è la concretezza della sua vicenda. Ed è proprio questo che gli consente di resistere e di controbattere alle obiezioni dei suoi interlocutori, che lo contrastano per contrastare Gesù stesso.
Alla loro affermazione: “noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”(ver.24), egli oppone ancora una volta la realtà di quello che gli è accaduto (ver.25). Sembra non voler entrare nel loro discorso – “se sia un peccatore non lo so” – ma in realtà ci entrerà, e potentemente. In ogni modo questa sua prima reazione rivendica la straordinarieà della sua storia: “ero cieco e ora ci vedo”. Questo sembra costringere i giudei a lasciare il tema per loro centrale, e cioè che Gesù è un peccatore perchè ha operato in giorno di sabato (ver.16), e si lasciano tentare a riesaminare i fatti (ver.26).
Ma questo provoca appunto una nuova crescita della conoscenza che di Gesù ha il cieco nato, che al ver.27 si spinge sino alla sfida dell’ironia: “Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. In questo “anche voi”sono tentato di cogliere la rivelazione di un fatto che ancora deve compiersi e di cui forse anche il cieco nato non è consapevole. Mi spiego. “Anche voi” rispetto a chi? Ad altri che sono già discepoli di Gesù. Ma forse si sta affacciando anche in quest’uomo la prospettiva di un suo rapporto profondo con Colui che lo ha illuminato.
Questa provocazione porta i giudei a reagire rivendicando il loro legame con Mosè, il grande legislatore d’Israele. E quindi a porre il confronto tra Mosè e questo Gesù. L’argomento del ver.29 – “a Mosè ha parlato Dio, ma costui non sappiamo di dove sia” – porta la discussione su un punto che il Gesù del Quarto Vangelo rivela come fondamentale. Il vino di Cana, in Gv.2, non si sapeva “da dove venisse”; ma appunto del Cristo stesso “quando verrà, nessuno saprà di dove sia”(Gv.7,27). Proprio perchè Gesù è il Cristo non si può umanamente sapere da dove sia. E addirittura sarà così di “chiunque è nato dallo Spirito”(Gv.3,8)”! Certamente a Mosè “Dio ha parlato”. Ma Gesù “viene da Dio” come l’uomo dirà al ver.33!
Ai vers.30-33 è meravigliosa la sapienza di quest’uomo, di cui lui per primo si stupisce:”Proprio questo stupisce”. Viene qui ribadito il legame profondo tra la parola e la storia. Non una Parola fuori dalla Storia, ma una parola nella storia, che non solo s’incontra con la storia, ma scaturisce da essa. Una Parola che si è fatta storia. Il Verbo che si è fatto carne! Perciò quello che “sappiamo”(ver.31), e cioè che “Dio non ascolta i peccatori” ma ascolta chi fa la Sua volontà, ora ci porta a riconoscere che Gesù viene da Dio. Altrimenti “non avrebbe potuto fare nulla”(ver.33)!
E’ molto affascinante anche l’ultimo versetto. Come spesso accade nel Quarto Vangelo, le persone spesso non si rendono conto di dire cose molto vere al di là delle loro intenzioni e della loro consapevolezza. E’ proprio vero, infatti, che il nostro amico è “nato tutto nei peccati”, come del resto è di ogni uomo e donna che viene al mondo. E la sua cecità dalla nascita ne è il segno evidente e drammatico. Ma il Signore lo ha strappato dalle tenebre e gli ha donato la luce. Adesso i giudei lo cacciano fuori. Ma non sanno che con questo gesto sigillano il fatto che il cieco sanato non è più parte di un’economia di attesa e profezia dell salvezza, come è proprio di Israele, perchè tale salvezza in lui si è compiuta per il prodigio che Gesù ha fatto in lui e per lui.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Come si vede bene in tutta questa vicenda che l’opera di Dio non la incontriamo nei libri di teologia, nei catechismi, nei dogmi: scribi e farisei si ostinano su questa strada…, mentre è nella realtà, nei fatti, che Dio si rivela. E per noi, si può ripetere che “è la vita a illuminare i testi”, e non viceversa. – “Noi siamo discepoli di Mosè!”: che paradosso, dichiararsi discepoli di colui che doveva annunciare e preparare, e non riconoscere Dio stesso quando si è fatto presente e operante in Gesù! Il cieco guarito dà di Gesù anche una definizione: “uno che onora Dio e fa la sua volontà” (v.31) e che Dio ascolta. Onorare Dio vuol dire mostrare il suo vero volto, il volto di Uno che è esclusivamente buono e ama gli uomini indipendentemente da meriti e virtù.
Il cieco guarito dice a chi lo interroga: “Una sola cosa so!”, E ieri nel vangelo il Signore diceva a quell’uomo ricco che lo interrogava: “Ti manca una cosa sola”. Quella “sola cosa” necessaria che Maria ascoltando Gesù aveva trovato. Qui questo uomo, in un qualche modo, mostra “ciò che è necessario”, ciò che manca ai suoi interlocutori, l’unica sapienza che conta, quella dell’esperienza della salvezza, anche in contrapposizione a tante altre sapienze, compresa quella che può venire dalla legge di Mosè. Questo peraltro è stato sempre vero anche per il popolo di Israele, perchè tutta la sua sapienza è collegata all’uscita dall’Egitto, cioè al passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce. Il v. 34: “Sei nato tutto nei peccati, e vuoi insegnare a noi?” Detto dai farisei, queste parole hanno un significato negativo. Invece, letto in controluce, è la pura verità. Il vero insegnamento è dato da questa esperienza di passaggio dalle tenebre alla luce. Poichè – come il Signore aveva detto – la sua condizione di cecità era perchè si manifestassero in lui le opere di Dio. E così si manifestano ora: insegnano la dottrina nuova della misericordia che lui ha ricevuto. Il cieco guarito, nelle sue parole – inaccettabili per i farisei – rivela di unire la sua esperienza a una profonda conoscenza della sapienza di Israele. Il cap. partiva con la interrogazione dei discepolia Gesù sulla causa della condizione di cecità di questo uomo: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori perchè nascesse cieco?”; e questa convinzione ritorna ora nella bocca dei farisei. La parola “conoscere” ritorna molte volte nel testo di oggi: c’è una conoscenza ferma, che non evolve; e invece una conoscenza che è una riflessione sulla propria vita e gli eventi di salvezza esperimentati. La botta e risposta tra i farisei (“A Mosè ha parlato Dio”) e il cieco guarito (“Dio non ascolta i peccatori”, cioè: ha ascoltato il suo Gesù), sembra volere sottolineare la novità portata da Gesù: se a Mosè, servo di Dio, Dio PARLAVA e dava precetti e istruzioni agli uomini, con Gesù, ora, Dio ASCOLTA la voce degli uomini, i loro bisogni, e sta attento a loro per la intercessione che Gesù porta al Padre.