15 Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18 In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
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Il miracolo dei pesci ci ha portato alla prospettiva della vita cristiana come ad un’incessante conversione alla Pasqua di Gesù. Tale Pasqua ha la sua fonte e il suo culmine in quel banchetto preparato sulla riva del Risorto. A partire da questo, la Parola evangelica mi porta a pensare che le due figure di discepolo, Pietro e il Discepolo amato, siano l’immagine profonda della vita cristiana, caratterizzata in Pietro dal verbo “seguire”(ver.19), e nel discepolo amato dal verbo “rimanere”, come vedremo, se il Signore vorrà, ai vers.22-23. Il nostro testo è fortemente caratterizzato dalla triplice domanda-risposta sull’amore di Pietro per il Signore Gesù. Da molti anni considero con la maggior attenzione di cui sono capaci le mie modeste forza interiori i due verbi che qui compaiono per dire l’amore, che in italiano sono espressi con “amare”(vers.15 e 16) e “voler bene”(vers.15, 16 e 17). Ho trovato nei commentatori diverse spiegazioni, e in qualcuno anche l’affermazione che questa diversità non è di rilievo. Mi limito qui a scrivere che il primo verbo sembra essere più profondo e indicativo della condizione del cuore, e il secondo forse più teso ad esprimere il sentimento dell’amore, il suo potere di elezione. Confesso che questo mi è suggerito particolarmente dalla persona del “discepolo amato”, quasi si volesse dire che certamente il Signore ama tutti i suoi, e ha un sentimento di predilezione per questo discepolo senza nome. La triplice domanda, sino alla terza addolorata risposta di Pietro può significare secondo alcuni il riscatto della triplice negazione di Pietro nel cortile del sommo sacerdote. Io sono portato a pensare che potrebbe forse trattarsi anche dell’impetuoso amore divino che ritorna al cuore dell’uomo con potenza e coinvolgimento crescenti, sino a quel “dolore”, che potrebbe dire la celebrazione nella vita di Pietro della passione di Gesù. L’elemento forte mi sembra però sia da cogliere nel rapporto tra l’amore per il Signore e la capacità e il compito di condurre altri nello stesso cammino. Dunque un rapporto con gli altri condizionato e relativo alla comunione d’amore con Gesù. Noi attribuiamo istintivamente il compito di guidare a investiture a capacità e a competenze. Qui sembra che la vera competenza e l’investitura a ciò siano legate solo all’amore per il Signore. E questo ha il suo culmine al ver.18, quando il compito di pascere le pecore del gregge fluisce interamente – e quindi neppure viene più citato! – nell’evento del martirio, e più ampiamente nella celebrazione, nella nostra persona e nella nostra storia, della Pasqua di morte e di gloria di Gesù. Mi sembra molto bella l’espressione “dove tu non vuoi”, che enfatizza a livello supremo l’obbedienza alla volontà divina e quindi il pieno accesso al mistero pasquale del Signore. Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Colpiscono le tre domande di Gesù a Pietro, ed è sempre la stessa domanda: “Mi vuoi bene”? E sempre Pietro risponde: “Ti voglio bene!”, anche se la terza volta si addolora perchè per tre volte Gesù gli ripete la stessa domanda. E dopo le risposte di Pietro, Gesù, per tre volte gli affida “le sue pecore e i suoi agnelli”. E l’amore per Gesù si mostra la dove Pietro nutre e custodisce le pecore di Gesù, Buon Pastore. Questo è molto importante, specie per la conclusione delle parole di Gesù: “Seguimi!”. Per potere nutrire e custodire quelli che gli vengono affidati, Pietro deve “seguire” Gesù, e in questo mostra di amare i fratelli e il Signore. La prima domanda di Gesù è un pò diversa; infatti chiedendo a Pietro se gli vuole bene, aggiunge: “mi vuoi bene più di costoro?”. Parole che sembrano un dolce rimprovero a risvegliare la memoria dell’irruenza con cui Pietro poche ore prima aveva dichiarato il suo amore speciale (“più di costoro” ?) dicendo a Gesù: “Darò la mia vita per te!”. E dunque colpisce che Pietro non riprenda queste parole di gesù, cioè mostri di non confidare più di avere un amore per Gesù “più grande di quello dei condiscepoli. Pietro rinuncia a confronti. E inoltre sembra crescere nell’umiltà, che è confidenza nel Signore piuttosto che in se. Infatti, se alle prime due domande, risponde con un gran “Si, ti amo!”, nell’ultima preferisce affidarsi esclusivamente (come già in parte aveva fatto già) alla conoscenza che il Signore ha di lui: “Signore tu sai tutto, tu sai che io ti amo!”. La parola conclusiva di oggi: “Seguimi!” è un invito a Pietro a riprendere la via dietro al suo Signore. Questo cammino dietro a Gesù è offerto e indicato come via per tutti i discepoli (come domani suggerirà la presenza vicino a Pietro del discepolo amato). Si segue Gesù, nella giovinezza, cingendosi da sè e andando dove si vuole, e si segue il Signore nell’anzianità, venendo cinti da altri (per mitezza o per il diminuire delle forze), ed essendo condotti dove non si vuole, fino a poter giungere a glorificare Dio in tutto.
Mi ha meravigliato la nota della TOB, secondo cui la diversità dei termini usati (pecore e agnelli, amare e voler bene) non sarebbe rilevante; mi sembra contrario alla prassi degli evangelisti, così attenti nell’uso delle parole, nei richiami tra le stesse, ecc. Chissà che tra qualche anno, quando torneremo a commentare il quarto Vangelo, non riusciamo a capire di più! – Mi piace sottolineare due affermazioni del testo odierno; una di Pietro, che vorrei proprio fare mia: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”, con tutto quello che essa sottintende… E l’altra, di Gesù: “Seguimi!”, che sarà ribadita domani; “Tu, segui me!”. C’è qui la vera chiamata di Pietro e – finalmente – la sua conversione.
Il Cristo, che è l’Essere dell’Amore e della Libertà , non poteva porre tre volte l’identica domanda, sarebbe stato un gesto contro la Libertà e contro la dignità di Pietro e contraria all’Amore. Siamo quindi chiamati a comprendere che il rattristamento non è dovuto alla reiterazione di Cristo nel porre le tre domande perché il Cristo non pone tre domande identiche, ma solo due quasi identiche. Le prime due. La terza è totalmente una nuova e diversa domanda. Dovremmo sentire in animo che il Cristo rispetta la coerenza di Pietro che risponde, quest’ ultimo, con un verbo di pregnanza diversa dal verbo della domanda del suo Maestro. Ma ponendo ” la terza” ecco che è il Cristo che viene a livello della libertà di Pietro e gli chiede un altro tipo di amore. Fileis me? Questo fileis me non è più l “agapas me”.
UNA ESEGESI CHE PERDA IL VALORE DEL VERBO NON PUO’ COMPRENDERE IL VANGELO DI GIOVANNI. Tradure sempre amare è tradire il vangelo. Qualche volta si prova a diversificare con “amare” e “voler bene”, ma se poi si fa una fusione rappresentativa delle due forme verbali come se in fondo in fondo coincidessero, siamo nell’errore esegetico.