1 Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4 E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5 Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
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(Prima parte)
Questi primi cinque versetti del cap.2 hanno un protagonista assoluto: “la madre di Gesù”, come dice il ver.1. L’esordio del testo con quella precisazione di tempo non mi sembra abbia il suo rilievo nel collegamento con le vicende del cap.1, quanto per l’evocazione “pasquale” che porta con sè: “il terzo giorno”. Come molte volte troveremo nel Vangelo secondo Giovanni, c’è una forte “condensazione” del tempo. Per Giovanni si è sempre intorno a Pasqua, perchè tutto ormai acquista il suo significato più profondo e reale dalla Pasqua di Gesù.
Non ritengo del tutta opportuna l’aggiunta che la versione italiana propone con quella “festa”. Sono nozze, e basta. E festa mica tanto, come subito incontriamo. La scena è dunque quella di un matrimonio. Il testo sottolinea in modo forte la presenza della madre di Gesù con quel “c’era” che indica contemporaneamente la forza di una presenza e una nota di “stabilità” – “c’era” – che la colloca al centro di quella vicenda e al centro della nostra attenzione. Diciamo subito che il compito della madre di Gesù sembra essere quello di rappresentare la condizione di queste nozze che non riescono, e la prospettiva di una soluzione.
In questo quadro è molto forte l’affermazione del ver.2: “Fu chiamato anche Gesù e i discepoli alle nozze”. Chi lo chiama? Forse soprattutto la situazione stessa, forse addirittura questo stato di povertà-necessità. Siamo quindi portati a pensare che quelle “nozze” assumano la potenza rappresentativa di tutta la vicenda di Israele. Le grandi nozze tra Dio e il suo popolo. E addirittura la potenza di rappresentanza che Israele ha in rapporto al modo intero: tutta la creazione e tutta la storia. Israele conosce queste nozze, ma ne conosce anche il limite. L’insufficienza e la povertà. Tutto questo carica di densità questa “chiamata” di Gesù alle nozze, come attesa e profezia messianica. Le nozze sono avviate, ma non potranno compiersi senza una presenza e un’opera che ne consenta l’adempimento e la pienezza.
Da anni mi sto chiedendo se questo vino di cui la madre denuncia l’assenza sia venuto meno, o di fatto non ci sia mai stato. La nuova versione italiana della Bibbia rinuncia a quel “non hanno “più” vino” e dice, come è nel testo originale, “non hanno vino”. Però tenendo ferma l’espressione “venuto a mancare il vino”, sembra voler dire che il vino c’era e adesso non c’è più. Alla lettera il verbo non direbbe “venuto a mancare”, ma anche semplicemente “mancando il vino”, come per dire che a quelle nozze qualcosa manca. Il rilievo del problema non è facile cercarlo analizzando le costumanze e le prescrizioni del matrimonio ebraico.
(continua)
(Segue – seconda parte)
Credo che l’affermazione più forte del problema starà nella risposta che Gesù dà a sua madre al ver.4. Noi qui vogliamo soprattutto sottolineare la potenza di questa “denuncia”, che diventa addirittura preghiera, invocazione, confessione di povertà e bisogno di aiuto. Di salvezza. In lei c’è tutta la tensione di speranza e di attesa che l’Israele fedele custodisce nella sua storia. Israele è in condizione assolutamente unica nella storia. Solo Israele conosce il desiderio nuziale di Dio. Solo Israele ha ricevuto il dono dell’alleanza nuziale e la ricchezza infinita della Parola che la crea e la custodisce. Ma proprio per questo Israele conosce il “limite” di tali nozze che non possono che attendere il loro compimento. La “Madre” è la Madre di Israele. Ed è la Madre di Gesù!
Ed ecco, al ver.4, la meravigliosa e complessa risposta di Gesù. Personalmente opto per la lettura più radicale e più drammatica dell’espressione “Donna, che vuoi da me”, che io preferisco nella proposta che qui è stata corretta e che diceva: “Che ho da fare con te, donna?”, perchè alla lettera l’espressione dice una reale e forte “estraneità”, al punto che nelle memorie evangeliche è addirittura il diavolo a gridare questa frase contro Gesù per dire l’assoluta reciproca estraneità tra il Signore e i demoni. Mi sembra che l’espressione possa essere compresa solo in riferimento alle grandi nozze che Dio ha stabilite tra Sè e la creatura amata, l’umanità, nozze naufragate nel dramma della disobbedienza e del peccato delle origini. Drammatico divorzio tra Dio e l’umanità, e principio della grande ricerca che Dio fa lungo tutta la Scrittura della sua creatura amata e perduta. Nozze che saranno celebrate in pienezza e per sempre in quella Pasqua di Gesù che ora Egli indica dicendo: “Non è ancora giunta la mia ora”. E’ chiaro dunque che il vino mancante è il sangue dello Sposo, il suo sacrificio d’amore. E l’estraneità attuale che egli denuncia tra Sè e la donna, coglie nella madre di Gesù la potenza di rappresentanza di Israele, e attraverso Israele, di tutta l’umanità. L’estraneità tra lo sposo e la sposa, le nozze che non riescono, sono la condizione amara di tutta l’umanità per il peccato delle origini, peccato che sarà vinto e nozze che saranno pienamente celebrate in quell’ “ora” della Croce che il miracolo di Cana anticipa per l’intercessione della Madre. Questa risposta di Gesù definisce e stabilisce la vicenda di Cana come “segno” delle nozze che si compiranno nella sua Pasqua di morte e di gloria.
In tal senso è meravigliosa la “reazione-non-reazione” della Madre, che non si rivolge a Gesù, ma ai servi. E chiama autorevolmente i servi a non essere più servi, ma discepoli! Dice infatti: “Quello che vi dirà, fatelo”, che forse è meglio dell’attuale proposta nella Bibbia riveduta:”Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Non più dunque “servi” nel regime della Legge, ma finalmente discepoli di Gesù che parla loro.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
A proposito del vino e del suo significato ho ancora in mente le letture di ieri, XX dom. T.O. anno B, che curiosamente parlano tutte e tre del vino:
– Pro 9: A chi è privo di senno La Sapienza dice: Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato.
– Ef 5: non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni…
– Gv 6: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Quindi il vino è un dono-preparato della Sapienza, è il segno dello Spirito di cui ci dobbiamo riempire ed inebriare attraverso il canto della Parola di Dio insieme, è il sangue di Gesù che ci dà la vita eterna.
La preghiera sulle offerte di questa settimana sembra sintetizzare tutto in poche parole: “Accogli i nostri doni, Signore, in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza: noi ti offriamo le cose che ci hai dato, e tu donaci in cambio te stesso.”
Questo è il “vino” che manca alle nozze! Ma non mancano la mamma di Gesù e Gesù stesso. Il miracolo di oggi e della nostra vita è che essi sono presenti, sono invitati, sono chiamati!
Maria infatti sapientemente se ne accorge, con semplicità lo fa notare, con pace ne parla con Gesù e con risolutezza da disposizione ai servi.