28 Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29 Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 30 Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 31 Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 32 Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.
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La risposta dei Giudei Pilato: “Noi non possiamo mettere a morte nessuno!” dipende forse storicamente dal fatto che essi sono in quel periodo sotto la dominazione romana, che ha tolto loro il potere di condannare qualcuno a morte (salvo forse il caso di lapidazione per colpe gravi, come la bestemmia). Non possono perciò mettere a morte nessuno senza il permesso dei Romani. Ma si può cogliere in quella affermazione una grande verità, che loro affermano senza forse comprenderla pienamente. E cioè che la loro legge, la santa Tora ricevuta da Dio per mezzo di Mosè, non è stata data per la morte ma per la vita. E questo lo abbiamo visto anche nel cap. 8, quando viene portata davanti a Gesù la donna colta in adulterio e condannata alla lapidazione. Gesù aveva detto agli accusatori: Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei. Causando così che tutti se ne andassero impensieriti, e la donna fosse perdonata anzichè uccisa. La grande questione, che anche qui emerge, è quella che Gesù pone ai suoi ascoltatori, richiesto di curare la mano inaridita di quell’uomo, di sabato: “E’ lecito di sabato fare il bene o fare il male, slvare una vita o perderla?” Lo scopo della Legge non è quello di uccidere, ma di salvare, perchè il fine della Torah è Gesù, il Salvatore. v. 32: “Così si adempirono le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire”. Cioè morte di croce: “innalzato, per attirare tutti a sè”, e non lapidazione. Ma ancora più profondamente, una morte che è non è condanna per una colpa (che in Gesù non c’è), ma offerta della vita per la salvezza del mondo. Con il suo interrogare i Giudei, Pilato vuole in un qualche modo rendere partecipi anche loro, e noi con loro, della decisione di mettere a morte Gesù. Le parole che descrivono l’atteggiamento dei Giudei sono una messa in guardia anche per il nostro comportamento quotidiano. Dalle loro parole si rileva che trasformano il bene ricevuto in una accusa di malvagità, e chiamano il donatore di ogni bene un “malfattore”, distorcendo così la verità, con ingratitudine. Poi affermano di non poter mettere morte nessuno, lasciando così trasparire la loro intenzione di rendere altri responsabili di una condanna ingiusta. E l’osservazione del v. 28 rispetto alle loro preoccupazioni rituali, completa il quadro del nostro cuore, talvolta così contorto: mentre non ci facciamo premura di lasciar morire un innocente, magari facendo ricadere la nostra colpa su altri, ci preoccupiamo delle prescrizioni più piccole della legge, e della nostra purità, e “filtrando il moscerino, inghiottiamo il cammello”, pagando la decima della menta, dimentichiamo la misericordia e la giustizia.
“Era l’alba”(v.28): è l’inizio del sesto giorno di questa settimana che si sta consumando; l’autore indica di questo giorno l’alba, il mezzogiorno, ora di inzio del sacrificio di Gesù, e la sera, momento della sepoltura. Al sesto giorno della creazione (quella dell’uomo) si sovrappone ora il giorno della nuova creazione, della nuova vita. – “Si compivano così le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire”(v.32): se condannato dai Giudei, Gesù sarebbe morto lapidato. La lapidazione avveniva così: si collocava il condannato in una buca, poi si riempiva la buca di pietre. A questo infossamento nella terra si contrappone l’innalzamento che Gesù aveva annunciato: innalzamento sulla croce ed esaltazione nella gloria del Padre.